Settimane nella zona di transito

24 settembre 2006: tutti i cantoni e quasi il 70 per cento degli svizzeri aventi diritto di voto accettano la revisione della legge sull'asilo (Lasi) – insieme a quella sugli stranieri – orchestrata dall'Unione democratica di centro. Una nuova legge che porta ad un inasprimento delle regole attraverso una "costellazione" di piccole e grandi modifiche.
Dal 1° gennaio 2008 è possibile fare richiesta completa di asilo anche dagli aeroporti internazionali di Ginevra-Cointrin e Zurigo-Kloten e non più solo dai centri di registrazione e di procedura di Chiasso, Vallorbe, Basilea e Kreuzlingen. In caso di rifiuto provvisorio di accesso al suolo elvetico, l'Ufficio federale delle migrazioni dispone di 20 giorni per rendere nota la sua decisione (prima istanza) all'interessato che nel frattempo "soggiorna" all'aeroporto tra la zona di transito e i  locali di ritenzione. Oltre i 20 giorni, il richiedente l'asilo deve uscire dall'aeroporto e venire assegnato a un cantone per la procedura di asilo.
Se con la vecchia legge, il richiedente l'asilo poteva restare un massimo di 20 giorni nella zona di transito dell'aeroporto, oggi può essere trattenuto fino a 60 giorni prima della decisione di seconda istanza.
Fin qui la teoria. Nella pratica non tutto fila così liscio come ha rilevato nel corso del mese di marzo Michel Ottet, assistente giuridico per l'associazione romanda "Elisa" – anagramma di "Asile" – che si occupa di richiedenti l'asilo. «Benché l'Ufficio federale delle migrazioni (Ufm) abbia avuto più di un anno per adeguarsi alle nuove disposizioni, nel corso degli scorsi mesi lo abbiamo più volte pizzicato mentre violava le regole oltrepassando di oltre 15 giorni il termine di 20 entro il quale il richiedente l'asilo deve essere informato della decisione presa in merito alla sua richiesta», racconta Ottet che nel marzo scorso, attraverso l'associazione Elisa aveva inoltrato tre ricorsi al Tribunale federale amministrativo che ha confermato una violazione della legge (la Lasi) da parte dell'Ufm.
«Vi sono persone che sono rimaste a Cointrin per oltre 2 mesi in attesa di una decisione formale da parte dell'Ufm. Un ragazzo di 17 anni è rimasto nella zona di transito per 60 giorni».
Interrogato sulla questione, l'Ufficio federale delle migrazioni, attraverso il suo ufficio di comunicazione, ha ammesso che vi sono stati «dei problemi organizzativi nell'adattarsi alle nuove disposizioni» anche se, come sottolinea Ottet, «hanno avuto un anno e mezzo per prepararsi».
Secondo Berna questi «errori interni», così vengono definiti in termine burocratico gli importanti ritardi nella comunicazione delle decisioni, hanno riguardato soltanto «alcuni casi problematici» e non sono stati la regola.
A qualche mese di distanza la situazione è cambiata? L'Ufficio federale delle migrazioni rispetta le nuove regole, nei tempi previsti dalla legge? Lo abbiamo chiesto a Michel Ottet che non ha smesso di monitorare la situazione.


«Apparentemente questo problema è stato risolto: a nostra conoscenza non ci sono più stati casi flagranti come quelli riscontrati fino allo scorso marzo con persone trattenute per oltre 15 giorni nelle stanze di Cointrin pur avendo ottenuto un diritto di ammissione provvisorio. Il rischio di incappare immediatamente in nuove sanzioni da parte del Tribunale amministrativo ha certamente avuto il suo peso...», risponde il responsabile giuridico di Elisa. «Oggi si sgarra al massimo di uno o due giorni: per questo ritardo limitato non gridiamo allo scandalo. Restiamo tuttavia molto vigilanti».
Dopo la rabbia iniziale, oggi la cautela: è dunque questo il sentimento che prevale presso l'associazione romanda che, se da un lato è soddisfatta di aver "risolto" un problema, dall'altro è preoccupata delle pessime condizioni attualmente esistenti nel centro di ritenzione di Cointrin. «Condizioni non normali se si pensa che a subirli sono persone che non hanno commesso nessun delitto se non quello di aver fatto richiesta, a torto o a ragione, della protezione da parte della Svizzera», spiega Ottet.
La storia dei locali di ritenzione risale a 10 anni fa: allora i richiedenti l'asilo erano rinchiusi in celle, senza possibilità alcuna di uscire, tranne casi eccezionali. Una situazione fortemente combattuta da Elisa e da altre associazioni umanitarie tanto che si è riusciti a modificare i locali e renderli simili a quelli che sono oggi i locali della protezione civile, con qualche miglioria. «Ad esempio i letti sono un poco più larghi, c'è una sala comune, due dormitori – uno per le donne, l'altro per gli uomini –, docce, sanitari», spiega il nostro interlocutore «Tuttavia non ci sono finestre. Le persone sono libere di muoversi nella zona di transito dell'aeroporto dove la sola luce a disposizione è quella offerta dalle lampadine al neon delle boutiques. Una situazione relativamente normale per una detenzione di al massimo 15 giorni ma che diventa insostenibile quando il rischio, oggi, è di doverla sopportate anche durante sessanta giorni».
Sessanta giorni senza vedere la luce del sole è legale? «Esiste un'Ordinanza specifica che regola il soggiorno nei centri di ritenzione di Ginevra e Zurigo (vedi box a destra). La legge prevede che i richiedenti l'asilo abbiano diritto a una passeggiata quotidiana all'aria aperta. Una regola non sempre rispettata. Proprio oggi (venerdì scorso, ndr) ho inoltrato un ricorso presso il Tribunale federale amministrativo: da ormai sei settimane una donna con la propria bambina di 7 anni sono trattenute nelle condizioni di vita citate. Ma il fatto più grave è che in questo periodo hanno avuto la possibilità di effettuare soltanto due passeggiate di un'ora ciascuno, lungo le piste dell'aeroporto. Questo non è normale. Come non è normale che una bimba di 7 anni debba convivere unicamente con persone adulte, per lo più uomini, dunque certamente con interessi ben diversi dai suoi. Difficilmente gli adulti presenti al centro saranno disposti a giocare con lei o a guardare gli stessi programmi televisivi della piccola. Gli interessi sono diversi,è ovvio, e la convivenza non è certo sana in questi casi». Non esiste un'apposita accoglienza per bambini? «All'aeroporto esiste un nido ma accoglie bambini soltanto fino ai cinque anni… Inoltre questa "garderie" è destinata a bimbi pronti ad imbarcarsi, dunque che restano qualche ora appena e non diverse settimane… Per fortuna la bimba ha la possibilità di stare almeno con la mamma, anche se purtroppo la donna soffre di depressione…».
Madre e figlia sono minacciate di rinvio nel loro paese d'origine, la Nigeria, in quanto l'Ufficio federale delle migrazioni non ha creduto che la bambina nel suo paese sia minacciata di ablazione. Ed il Tribunale amministrativo ha confermato la decisione dell'Ufm. «Al di là della veridicità o meno di questa minaccia, ritengo che anche se dovesse effettivamente avvenire il rinvio in Nigeria sia doveroso e necessario, fare entrare le due donne nel paese per garantire loro condizioni di vita adeguate a quelle di una bambina di 7 anni e di una madre, sola, depressiva. Vedremo cosa scaturirà dal mio ricorso. Non escludiamo, se del caso, di ricorrere anche presso la Corte europea dei diritti dell'uomo…», proclama Ottet il quale solleva il fatto che all'origine dei problemi di Cointrin vi anche è l'assenza di personale adeguato, contrariamente a Zurigo dove – pur essendo confrontati anch'essi a non pochi problemi – hanno quantomeno la fortuna di avere un ufficio della Croce rossa all'interno del centro di ritenzione...
Sempre secondo l'associazione Elisa al centro di ritenzione di Ginevra non esistono le adeguate condizioni per garantire una difesa giuridica corretta «Mancano soprattutto degli uffici adeguati per garantire colloqui in totale tranquillità tra i richiedenti l'asilo e i giuristi. A Cointrin nelle stanze vi è un continuo via vai di persone che nemmeno dei detenuti in carcere devono subire visto che le prigioni sono dotate di parlatori... Mancano fax per permettere ai "residenti" di comunicare con il loro assistente giuridico  o legale con facilità, come del resto prevede la legge. Insomma siamo sempre in una "procedura d'urgenza" e non in una situazione normale. Come si fa a lavorare così?», s'interroga Michel Ottet che nel frattempo ha già rivolto tutte queste domande domanda all'Ufficio federale delle migrazioni. «La risposta si fa  desiderare. Se non arriverà al più presto dovrò risollecitarla», commenta il responsabile giuridico di Elisa.
E intanto sul centro di ritenzione ginevrino incombe un'altra spada di Damocle: con l'introduzione delle disposizioni di Schengen, dall'autunno prossimo la zona di transito dell'aeroporto verrà fortemente ridotta, all'incirca di un terzo. «Il che significa meno spazio a disposizione per lo "svago" degli "abitanti di Cointrin". Come vede sono molti i problemi, e le domande sottoposte all'Ufm. Attendo le risposte», conclude Michel Ottet. Affaire à suivre...

Pubblicato il

16.05.2008 02:30
Fabia Bottani