Vendita al dettaglio

Settemila volte no a estendere gli orari di apertura dei negozi. Il referendum lanciato dai sindacati Unia e Ocst è riuscito: le firme saranno consegnate alla Cancelleria dello Stato, giovedì 22 dicembre, a Bellinzona. Questo significa che, dopo le verifiche di prassi, gli elettori ticinesi saranno chiamati alle urne per esprimersi sull’ennesima riforma che tocca i lavoratori del commercio al dettaglio. A metà ottobre il Gran consiglio aveva accolto l’iniziativa parlamentare del Partito liberale radicale per «maggiori margini di manovra e più libertà d’iniziativa».
«Siamo soddisfatti del grande lavoro svolto e della risposta della cittadinanza, che ha dimostrato una grande sensibilità nei confronti del personale della vendita le cui condizioni salariali, di lavoro e di vita sono nettamente peggiorate negli ultimi anni. Si era promesso battaglia per abrogare un’iniziativa che attacca il tempo di lavoro e il tempo di vita degli 8'500 (di cui il 70% costituito da donne) impiegati nel settore del commercio al dettaglio: il primo passo con la riuscita del referendum è stato fatto!  Ora toccherà al popolo esprimersi contro le modifiche alle Legge sull'apertura dei negozi, che tocca un ramo già fortemente precarizzato e indebolito, il quale non può permettersi altri abbassamenti delle condizioni professionali. » commenta Chiara Landi, responsabile del settore terziario di Unia Ticino e Moesa.
La nuova legge contro cui i sindacati hanno promosso il referendum aumenta da tre a quattro le domeniche all’anno dirante le quali i lavoratori possono essere occupati nei negozi senza richiedere alcuna autorizzazione, concede l’apertura delle attività fino alle 19 anche nelle feste infrasettimanali non parificate alla domenica (escluso il Primo maggio) e nelle domeniche che precedono il Natale, e aumenta le superfici da 200 a 400 metri quadri per quanto riguarda i negozi che hanno diritto alle deroghe di legge previste per le località turistiche la domenica.
«Abbiamo un mandato specifico attribuitoci dai lavoratori del settore per dare loro voce, ma anche risalto a quell’invisibilità che come abbiamo visto nel dibatitto in Gran consiglio è enorme. Sono state accolte solo le richieste delle associazioni padronali di categoria voltando la faccia alle preoccupazioni del personale impiegato nel commercio al dettaglio» aggiunge Landi. Per la sindacalista «a piccoli passi, cercando di non destare troppa l’attenzione, si sta andando verso una liberalizzazione generalizzata e i cittadini e le cittadine lo hanno capito. Se oggi riguarda il personale della vendita, domani colpirà tutti gli altri settore e la società nel suo insieme. Se crolla la barriera sull'apertura dei negozi, lo tsunami delle liberalizzazioni coinvolgerà l'intero mercato occupazionale fino a quando il lavoro domenicale non sarà più vietato».
Peggioramenti, invece che miglioramenti, che i sindacati hanno registrato già dopo le modifiche delle Legge sui negozi entrate in vigore a gennaio 2020: «Si sono create dinamiche molto impattanti sul personale. Sono ad esempio stati aggiunti 5 giorni di apertura nei festivi non parificati alle domeniche. C’è stata una liberalizzazione di 7 giorni su 7 fino alle 22.30 nelle località turistiche che ormai coprono gran parte del cantone. Mentre non si è vista la tanto declamata creazione di posti di lavoro» spiega la responsabile del terziario di Unia. Di male in peggio, visto che si è «consolidato ancora di più l’impiego su chiamata o a turni, col frazionamento delle giornate lavorative. Contratti precari che questa nuova modifica non farebbe che aumentare». Inoltre, secondo Landi con l’aumento della metratura ci rimetterebbero ancora i piccoli commerci in concorrenza con la grande distribuzione che ha tante filiali al di sotto dei 400 metri quadrati.
Il referendum di Unia e Ocst è stato reso possibile anche grazie al sostegno del Partito socialista. Per Fabrizio Sirica, copresidente del Ps Ticino, «si tratta di un cavallo di Troia che sembra piccolo, ma contiene ben altro: ovvero la liberalizzazione di praticamente tutte le domeniche dell’anno tramite l’aumento della metratura. C’è da rilevare, poi, che «la maggioranza dei comuni ticinesi, 66, sono definiti località turistica. Si vede come la deroga sul turismo sia utilizzata quale escamotage e metta in concorrenza i piccoli commerci con la grande distribuzione».

 

Pubblicato il 

20.12.22
Nessun articolo correlato