Un economista (Alan Kirman),  che offre sempre analisi azzeccate, illustra in una intervista la ricerca maniacale dell’efficacia economica, soprattutto nel lavoro, con una storiella. Un prete, uno psicanalista e un economista giocano a golf. Stanno però perdendo molto tempo perché un giocatore che li precede è lentissimo, non lascia il campo libero nonostante incitamenti e grida da parte loro. Il prete decide di andare a parlargli e ritorna, mortificato: “La persona è lenta perché è cieca. È terribile, tanto più che io predico sempre ai miei fedeli di essere comprensivi.” Lo psicanalista aggiunge: “È terribile davvero, io ho spesso a che fare con dei ciechi e raccomando loro di vivere come gli altri”. L’economista taglia corto: “Sarà anche terribile, ma a noi crea una situazione di totale inefficienza. Basterebbe invitare quel tipo a venire a giocare di notte.” Dalla compassione, alla pari dignità, alla libertà che va condizionata all’efficienza.


Era inevitabile accostare questa storiella ad alcune critiche appena apparse sull’inefficienza del lavoro, in particolar modo nel settore “pubblico”. Anche perché ci si imbatte in un altro genere di storiella nazionale. Indagini internazionali che contano (l’ultima è del Forum economico) pongono sempre la Svizzera ai primi posti tra le economie più performanti per competitività, reddito per abitante, qualità di vita. Nel Paese, invece, organismi economici (dal Seco a istituti di ricerca economica considerati vangeli) ci dicono che in fatto di produttività (prodotto per lavoratore) siamo perdenti. Poiché la competitività è intessuta di produttività del lavoro, qualcuno deve mentire.


Alle volte si è tentati di credere che dietro alla singolare contraddizione si nasconda una sorta di intesa tra ambienti economici e organismi reggicoda per far passare meglio la dottrina dell’economista della storiella: si deve ottenere più efficienza grazie a maggior flessibilità (del lavoro, ovviamente), minor rigidità e più razionalità, meno riguardi e più resa. Probabilmente non ci si sbaglia.


Non ci si sbaglia per i confronti senza senso con cui spiegano le cose. Negli ultimi venti anni la produttività del lavoro in Svizzera è aumentata solo dell’1,2 per cento in media annua. Quattro volte meno, ad esempio, di quella della Polonia o dei Paesi baltici. Sa di catastrofe. Non si dice però qual è stato il punto di partenza.
Non ci si sbaglia perché emerge l’immancabile strategia di mettere sotto accusa il settore pubblico.

 

L’argomentazione è scontata: in quindici anni l’occupazione nel settore pubblico (amministrazioni, scuola-formazione, salute-ospedali-case anziani, energia) è aumentato del 42 per cento contro solamente il 14 per cento nel settore privato. Nello stesso periodo di tempo la produttività è quindi calata dell’11 per cento nel settore pubblico mentre aumentava del 23 per cento in quello privato. Sa pure di catastrofe. Ma è spaventoso strabismo neoliberista. La produttività è considerata come il rapporto tra un plusvalore (la ricchezza prodotta) e le ore necessarie per produrlo. Possibile che costoro non riescono mai a capire che la ricchezza non è solo economica, materiale, ma è anche qualcosa di infinitamente migliore, può anche essere ricchezza umana incalcolabile, non monetizzabile? Esemplifico: potremmo migliorare la produttività negli ospedali, nelle case per anziani, nella scuola, riducendo le ore di lavoro, tagliando personale o docenti a terno secco. Per occupare più cimiteri e avere più analfabeti per strada.

Pubblicato il 

17.03.16
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