In Svizzera, la povertà è una scure che cala su quasi il 10% della popolazione. Il rischio di povertà riguarda invece più di 1,3 milioni di persone, 700mila delle quali vivono in un nucleo familiare in cui almeno una persona lavora. Le istituzioni, con una certa timidezza, iniziano a prendere atto del fenomeno e ad analizzare la struttura di questa povertà in crescita, che colpisce con particolare durezza soprattutto anziani e famiglie monoparentali. L’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS) negli scorsi giorni ha quindi pubblicato uno studio che analizza il modo in cui i Cantoni – responsabili della gestione di questo tema – si organizzano in termini di prevenzione della povertà e per sostenere le famiglie povere o a rischio. Lo studio ha esaminato cinque Cantoni (Berna, Ginevra, Neuchâtel, Turgovia e Ticino), saggiando gli approcci adottati e i servizi a disposizione e valutandone l’efficacia. Riassunto: “Esistono strutture e piattaforme […] per promuovere il coordinamento tra i diversi attori” scrivono gli autori dello studio commissionato all’istituto Ecoplan. “Tuttavia, gli ambiti ‘povertà’ e ‘famiglia’ non vengono sistematicamente correlati. Di conseguenza, problematiche importanti che vanno al di là degli aspetti economici vengono spesso ignorate, […] perciò il sostegno alle famiglie povere o a rischio povertà rimane frammentario”.

 

“Frammentario”, perché lo studio sottolinea come la disponibilità di risorse monetarie sia solo una delle tante sfaccettature della povertà, talvolta causa e talvolta effetto di altre problematiche: le famiglie povere, infatti, sono spesso emarginate socialmente; stentano a trovare un alloggio adatto alle proprie necessità o alla propria disponibilità finendo per subire un carico economico ulteriore e incorrono così nel rischio di sviluppare problemi di salute mentale; hanno accesso limitato a un’istruzione di qualità che potrebbe invece favorire la mobilità sociale; infine, anche se stress e difficoltà finanziarie gravano sulla salute, hanno minore accesso alle cure mediche e, nel caso nel nucleo familiare vi sia una persona con problemi di salute, “si trovano spesso ad affrontare il doppio onere delle responsabilità di assistenza e dell’insicurezza finanziaria”. La presa a carico della povertà, per funzionare e per evitare che si trasmetta alle generazioni successive, deve quindi garantire un approccio globale, che non c’è o che quando c’è non basta. Significative sono le considerazioni dello studio sulle strategie dei Cantoni e sulla loro definizione degli obiettivi per rimediare alla povertà: “Gli organi parzialmente fondati su basi legali potrebbero potenzialmente assumere un ruolo determinante […]. Tuttavia, questo potenziale sinora non è stato sfruttato e dipende dalle priorità politiche dei governi”.

 

Ticino in ritardo

Lo studio riconosce al nostro Cantone l’introduzione, durante gli anni Novanta, di leggi e approcci innovativi in materia di politica familiare, come l’istituzione degli Assegni integrativi (AFI) e degli assegni di prima infanzia (API) volti a lottare contro la povertà famigliare. A tal proposito lo studio rileva che alla fine del XX secolo il Cantone “forniva ai Comuni una guida strategica. […] Ora, i Comuni hanno maggiori competenze per agire da soli”. L’autonomia guadagnata dai Comuni si scontra però con la necessità, espressa dagli stessi, di un ruolo più attivo del Cantone che favorisca l’armonizzazione dei servizi e la raccolta dati siccome (e lo studio non manca di sottolinearlo) il Ticino è tra i Cantoni più poveri, che però ha iniziato ad analizzare i dati in tal senso solo di recente. Il ruolo del Cantone, come dichiara il competente Dipartimento Sanità e Socialità (DSS), è «sussidiario e complementare alle iniziative della società civile e della solidarietà intergenerazionale»; incentrato, dice lo studio, “su networking e scambio di conoscenze, senza linee guida vincolanti sull’orientamento operativo degli attori. Il Cantone rimane coinvolto e assume un ruolo di finanziatore in secondo piano”. In questo contesto, però, dall’analisi dei casi di studio ticinesi (ossia il Tavolo di lavoro sulla povertà della Città di Lugano, Il Franco in Tasca, Rete Budget Sostenibile e il Forum Genitorialità) risulta che in quasi tutte le categorie analizzate i livelli di integrazione non sono sufficienti: dalla raccolta dati al riconoscimento delle esigenze delle famiglie, dal coordinamento delle strategie di lotta alla povertà alla facilitazione dell’accesso ai servizi fino al coinvolgimento diretto delle persone povere. “È importante che il Canton Ticino sostenga le famiglie, soprattutto quelle giovani, perché potrebbero lasciare il Cantone senza una politica familiare attraente” chiosa infine il rapporto, raccomandando al Ticino di “svolgere un ruolo più attivo nella direzione strategica, di organizzare scambi, mettere a disposizione risorse specifiche per il networking e promuovere lo sviluppo di offerte congiunte”.


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Pubblicato il 

24.02.25