Senza resilienza non ci salviamo

Nuovo anno: tanti gli auspici per un avvenire che offra sicurezza (lavoro, reddito in particolare), salvaguardia ambientale e pace. Auspici per il momento privi di indizi che li possano suffragare. Il costante aggiornamento fornito dai media mette in rilievo un avvenire tutt’altro che roseo con forti trasformazioni nell’organizzazione economica (mondiale, regionale e all’interno dei singoli paesi) che faranno affiorare o rafforzeranno la tendenza a conflitti sia nei paesi, sia tra paesi e/o rispettive coalizioni (in particolare tra due gruppi: G7 a guida Usa con Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Brics a guida Cina con Brasile, Russia). La questione climatica e la necessità di approntare misure che riducano il surriscaldamento limitato a +1,5 gradi entro il 2050,  pur restando d’attualità ha ceduto il primato ai titoli economici, finanziari. Nulla, salvo che nelle riviste scientifiche e nei saggi, sulla maggiore minaccia incombente: l’estinzione di massa della vita sulla Terra!


Non è un’ipotesi: lo confermano studi e analisi approntate dalle più importanti istituzioni scientifiche del mondo. La causa è il modello di sviluppo in auge, quel modello che dall’industrializzazione in poi, indipendentemente dal sistema politico adottato, considera il nostro globo e la natura (ovvero il “sistema globale degli esseri viventi e delle cose inanimate che presentano un ordine, realizzano dei tipi e si formano secondo leggi”) quale fonte infinita, nonché gratuita che gli umani possono utilizzare, consumare a volontà.


Siamo la civiltà più progredita a livello scientifico, tecnologico finora esistita sulla Terra, sappiamo che stiamo andando dritti dritti verso la distruzione del sistema biologico in auge. E i vertici della politica e dell’economia fanno lo struzzo.


La sola risposta per scongiurare l’estinzione è resilienza. Ovvero creare le condizioni affinché un sistema possa ripristinare l’equilibrio. Un termine, non nuovo e anche saldamente entrato nel vocabolario di politici, governanti e pure dei manager di grandi aziende, facendone tuttavia dimenticare il carattere semantico del termine. In particolare la differenza tra “sistema aperto” e “sistema chiuso”. Ad esempio: un territorio specifico, un’azienda sono sistemi aperti, perché suscettibili di poter ricevere input dall’esterno secondo bisogno (energia o sostanze energetiche, materie, esseri viventi ecc).
Il nostro globo è invece un sistema chiuso: la quantità di materia a disposizione (acqua, materie prime, energia, molecole presenti ecc.) è limitata, non può crescere (anche l’energia che riceviamo dal Sole). Unica eccezione è l’impatto di un meteorite.
I vari programmi di Green economy (Ue, Usa e Cina) mirano sostanzialmente alla riduzione dell’inquinamento ambientale e dell’emissione di gas a effetto serra, sostituendo le fonti non rinnovabili (petrolio, carbone, gas naturale).Poco considerato, comunque non in cima alle priorità, il consumo di sostanze inorganiche e la distruzione dell’habitat degli altri esseri viventi a noi necessari. Un solo dato: l’“homo sapiens” pur costituendo meno dell’1% della biomassa totale terrestre, nel 2005 ha utilizzato il 24% della produzione primaria netta della fotosintesi; se non cambiamo rotta, secondo le previsioni nel 2050 potremmo arrivare fino al 44%


Gli umani come tutti gli esseri viventi della Terra, animali, vegetali, funghi, batteri, virus, sono parte integrante della natura. La scienza ci spiega che il nostro corpo è condiviso da altre forme di vita (batteri, funghi, virus ecc) e buona parte del nostro Dna e delle cellule del nostro corpo “appartengono” ad altre creature. Detto altrimenti: senza resilienza, ovvero senza la considerazione di tutti gli organismi del globo, non vi è futuro per la nostra specie, per la natura che conosciamo e di cui facciamo parte. Ne tengano nota politici, governanti e manager!

Pubblicato il

19.01.2023 13:51
Ferruccio D'Ambrogio