«Un permesso di dimora per tutti i sans papiers». Scandisce con cura le parole Jean Kunz. Il coordinatore del comitato di appoggio dei «senza documenti» di Friburgo, parla come se dovesse convincere i passanti che sfilano sotto la finestra del suo ufficio, nel centro di Losanna. «Tutti i sans papiers dovranno avere un regolare permesso di dimora e quindi di lavoro», insiste, facendo leva sul pugno. La regolarizzazione dei clandestini risolverebbe più di un problema, da quello economico a quello umano. Ma toglierebbe anche l’alone di «ipocrisia» che grava sulla società elvetica.
In Svizzera migliaia di persone pagano l’imposta alla fonte, versano contributi Avs, Lpp, eccetera, sono affiliati ad una cassa malati, ma non detengono il documento fondamentale, quello di soggiorno. Questa realtà è stata in buona parte denunciata in sede parlamentare, nel 1997.
Senza esito. Durante la sessione delle camere federali (dal 17 settembre) questa «assurda incongruenza», come la definisce un avvocato ginevrino, sarà al centro di una mozione deposta da Josef Zisyadis.
Sembra quasi amareggiato il segretario regionale del sindacato Comedia. Si dice stanco, proprio stanco, con le «ginocchia a pezzi». Il movimento, iniziato il 4 giugno con l’occupazione della chiesa di Saint-Paul, a Friburgo – riprende il sindacalista – ha vissuto un’estate torrida. «Ma ormai il grosso è fatto. Si va dritti dritti verso il dibattito parlamentare, una importante conquista per noi».
Tiene duro intanto il collettivo di 84 sans papiers. L’intervento della polizia, sabato scorso alle tre del mattino, è riuscito nell’intento di scompaginare il gruppo. In realtà i sans-papiers erano andati via nella notte tra mercoledì e giovedi, lontano da sguardi indiscreti, svela il
sindacalista. Per tre giorni il prefetto Nicolas Deiss ha creduto che la chiesa fosse ancora occupata. Una trentina di persone ha trovato rifugio nel centro d’arte contemporanea Fri-art. Venti sono stati accolti dalla comunità religiosa delle suore di Ingebold, a un centinaio di metri dalla chiesa di Saint-Paul. I rimanenti hanno fatto perdere le tracce per sfuggire ad un procedimento di espulsione in corso.
Alla ricerca
di spazi
più ampi
Malgrado il permesso, provvisorio, di restare a Fri-Art, accordato dalla città di Friburgo, i sans-papiers sono alla ricerca di nuovi locali, più grandi, possibilmente «simbolici, come lo era la chiesa di Saint-Paul», dice una sostenitrice. Ma questo è un problema secondario. Occorre innanzitutto rilanciare il movimento friburghese, che si trova nuovamente sulla «linea di partenza», afferma Jean Kunz : il governo ha deciso di entrare nel merito soltanto su 7 dei 41 casi di regolarizzazione presentati dal collettivo, dice il sindacalista serrando i denti. Una delusione cocente per i sans papiers, uno sprone per il comitato di appoggio che, imperturbabile, ha presentato venerdì una seconda lista di 19 nomi. Il movimento, spiega, appartiene ai sans papiers. «Sono loro che lo hanno creato e che, per la prima volta, hanno affrontato direttamente la lotta, senza intermediari. I comitati di appoggio li sostengono, ma non agiscono da soli. Ad ogni conferenza stampa, o incontro con le autorità, i sans papiers sono presenti e in prima linea».
Le autorità:
«piegare
il movimento»
Piegare il movimento: il governo friburghese, con l’ingresso della polizia in chiesa, e il rifiuto quasi in blocco delle richieste di regolarizzazione mostra una chiara volontà di opposizione e rifiuto. A Friburgo si chiudono i cancelli, si ergono muri, mentre a Losanna, La Chaux-de-Fonds, si registrano segnali di apertura. «Un controsenso», esclama Jean Kunz. «Senza considerare che un dibattito avrà luogo in sede parlamentare, quindi nazionale, e riguarderà tutti i cantoni, senza eccezioni».
Contrariamente all’esecutivo friburghese, anche incalzato da sondaggi favorevoli alla causa dei sans-papiers (realizzati dalla Radio Suisse Romande e la Weltwoche), il governo vodese ha «dato invece prova di realismo politico», afferma da parte sua Christophe Tafelmacher, portavoce del collettivo di Bellevaux, a Losanna.
Lunedì, il ministro Claude Ruey ha deposto le armi accogliendo i rappresentanti del movimento «En quatre ans on prend racine» (In quattro anni si mettono radici) al tavolo delle discussioni. Un cambiamento radicale che si spiega in parte con l’avvicinarsi del dibattito parlamentare sulla questione. In precedenza il governo vodese aveva opposto un secco rifiuto ad ogni richiesta di dialogo.
Autorità e collettivo si incontreranno nei prossimi giorni per discutere della regolarizzazione dei 157 kosovari di cui si compone il gruppo losannese (122 nomi sarebbero già stati sottoposti al vaglio di Berna).
Martedì, sulla scia dell’accordo siglato con il governo, i nove occupanti di
Bellevaux hanno fatto ritorno a casa. Adesso il collettivo intende aprire il movimento ad altre nazionalità, non solo kosovari, ma anche curdi, equadoregni...
La parola
passa ai politici
I «reclusi» di Bellevaux, stanchi e provati da 127 giorni di occupazione pacifica, hanno avuto il merito di portare la questione ai piani alti del dibattito. Il testimone resta ora fra le mani del collettivo friburghese. Da questo movimento potrebbe scaturire un coinvolgimento più ampio dei collettivi svizzeri con la partecipazione dei sans-papiers dei
cantoni tedeschi, ancora in sordina.
Un raduno nazionale si terrà il 12 settembre a La Chaux-de-Fonds, cittadina in cui è sorto l’ultimo (in ordine cronologico) movimento di sans papiers romando.
Durante l’estate, il governo svizzero ha espresso il suo rifiuto ad una «regolarizzazione collettiva». La consigliera federale Ruth Metzler lo ha ribadito in ben due occasioni : «i casi vanno trattati individualmente».
Né tantomeno è plausibile, per il governo, la soluzione dell’amnistia per i 150 mila o 300 mila sans-papiers che risiederebbero sul territorio elvetico, soluzione proposta da Christiane Brunner. Anche il consigliere federale Pascal Couchepin si è espresso in favore di un esame di ogni singolo dossier, escludendo ogni misura «arbitraria e globale» poiché la legge permette di regolare i casi urgenti.
Il tono freddo e distaccato, quasi gelido, adottato dai vertici federali si è però sminuito nei giorni scorsi.
Una mano è stata tesa dalla commissione federale degli stranieri con la proposta di creazione di uffici di mediazione nei cantoni per informare i clandestini sui loro diritti e su misure di aiuto al rimpatrio. Su questo punto parere favorevole è stato espresso dal governo elvetico. È già polemica però sulle modalità di attuazione del progetto, ma l’atteggiamento delle autorità sembra aver operato una lenta rotazione di 180 gradi. Di buon auspicio per lo svolgimento del dibattito parlamentare.
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