Senza fine l’opera buffa del TiSin

Le cinque industrie inoltrano ricorso contro la decisione cantonale di obbligare a rispettare il salario minimo

Sul TiSin è forse calato il sipario? Nossignori, è ricorso. I capitani delle industrie firmatarie dell’accordo col finto sindacato, nel tentativo di evitare il salario minimo cantonale, si sono opposti alla sanzione inflitta dall’Ufficio dell’ispettorato del lavoro. Lo confermano ad area fonti degne di fede. Imbarazzante.

 

Detta la notizia, ricapitoliamo le ultime scene dell’opera buffa ticinese, lasciando a voi gentili lettrici il compito d’indovinare chi abbia incarnato il ruolo del servo imbroglione, del vecchio avaro o del giovane di buona famiglia, le tradizionali macchiette del popolare genere teatrale.

 

Motivando la sanzione, come rivelato da laRegione e la Rsi, l’autorità cantonale aveva definito privi di fondamento giuridico quei Ccl. Lo erano sia nella modalità in cui l’approvazione è stata estorta ai lavoratori sia nei contenuti, per nulla migliorativi ai minimi legali dettati dal Codice delle obbligazioni e dalla legge sul lavoro. Le autorità hanno pure stabilito che TiSin non è un sindacato, non rispettando alcun punto che ne definisca l’essenza legale. Una sonora mazzata a cui i capitani non si rassegnano, consigliati da interessati avvocati. Se la triste storia prosegue sul piano legale (forse con l’intento di guadagnare tempo per studiare nuovi stratagemmi), un primo bilancio è ugualmente possibile stilare.

 

Iniziamo dalla metà piena del bicchiere. Di positivo vi è stata l’indignata reazione popolare a quel che è stato giudicato un ignobile sotterfugio. Reazione popolare che ha obbligato buona parte dei deputati a proferirsi sdegnati nella discussione che seguì in Gran Consiglio. Su quanto fosse sincero quello sdegno, abbiamo qualche motivo per dubitarne, ma sorvoliamo. Quel che importa sono i risultati.

 

Da salutare positivamente infatti, la capacità di giudizio dell’autorità cantonale. Non era scontata, data la copertura politica all’operazione di colonnelli del primo partito del Cantone, il capogruppo leghista Boris Bignasca e la sua vice Sabrina Aldi, fondatori del TiSin con Nando Ceruso. Dei prodi colonnelli lesti nell’abbandonare la nave TiSin mentre s’inabissava, sprofondando pure loro in un imbarazzante silenzio. Possiamo capirli. Aver costruito un’intera carriera politica sull’odio verso i frontalieri per poi aiutare quel padronato intento a spremerli con crassi sotterfugi, manderebbe in briciole la credibilità di chiunque. Ancor peggio quando l'idea trufaldina naufraga poi miseramente. Resta la curiosità di vedere se i cittadini elettori apprezzeranno il prossimo anno.

 

Di positivo inoltre il fatto che solo sette aziende sulle 1.600 controllate abbiano gravemente infranto la legge sul salario minimo. Nonostante le cassandre interessate profetizzassero sventure immani, l’economia ticinese sopravvivrà senza patemi all’introduzione di un minimo salariale dal modesto importo.

 

Veniamo ora ai risvolti negativi della vicenda. Le prime vittime del lungo naufragio del TiSin sono gli operai delle ditte interessate, che si vedono ora allungare i tempi di adeguamento al salario minimo cantonale. Quei cinque franchi l’ora in meno all’obbligo legale moltiplicati per sette mesi, fanno un bel gruzzoletto per ogni singolo operaio. Moltiplichiamoli per duecento e passa operai, arriviamo a qualche milioncino. Ad oggi. Sarà interessante vedere come si comporteranno quei capitani d’industria quando saranno forse infine chiamati a saldare il conto una volta esaurite le cartucce dei ricorsi. Senza dimenticare il danno alla collettività arrecato dai mancati introiti in oneri sociali e imposte.

 

Fra le vittime si conta pure una eroina, la lavoratrice che ha pagato col licenziamento il suo rifiuto di accettare il contratto del TiSin. Nella prima tappa della vertenza legale, la capitana dell’industria in questione voleva ripagare il torto alla coraggiosa lavoratrice rifilandole una mancetta, meno di una mensilità. No grazie, le ha risposto con signorilità l’operaia. La dignità non si vende.

 

Infine, a farne le spese della patetica sceneggiata, la messa in ridicolo dell’intero Cantone. Di capitani d’industria e colonnelli politici di questo calibro, contornati dal pseudo sindacalista, se ne farebbe volentieri a meno.

Pubblicato il

30.06.2022 15:03
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