Senza condizioni: intervista a Thomas Nierle di «Médecins sans frontières»

Dal cielo cupo una pioggia incessante di bombe. La popolazione afghana, stremata da mesi di carestia, vive nell’inferno. E anche l’arrivo dell’inverno è sinonimo di morte. Ma le bombe continuano a cadere. A nulla sono valsi, per ora, gli appelli di Mary Robinson, alto commissario per i diritti dell’essere umano: fermate quegli attacchi, lasciate alle organizzazioni umanitarie la possibilità di prestare soccorso ai più deboli. Ma Stati Uniti e Inghilterra sono sordi, sembrano non voler vedere una situazione che si fa di ora in ora più catastrofica. Nemmeno il corale appello di altre organizzazioni umanitarie fermano la macchina della guerra. Da vent’anni presente in Afghanistan, «Médecins sans frontières» (Msf) è una delle organizzazioni umanitarie che meglio conosce il martoriato paese. Intervista al direttore delle operazioni Msf-Svizzera, Thomas Nierle. «Pronti ad intervenire» Dopo la terza settimana di bombardamenti anglo-americani, come è la situazione dal profilo umanitario? Intanto occorre precisare che le informazioni che riceviamo dall’interno dell’Afghanistan non sono molte. Attualmente «Médecins sans frontières» ha ancora delle équipes operative nel nord-est del paese dove la situazione, sotto il controllo dell’Alleanza del Nord, è ancora abbastanza stabile. Dal resto del paese le informazioni filtrano con grandissima difficoltà. Per la popolazione la situazione era già molto precaria prima dell’11 settembre. Adesso tutto è destinato a precipitare. Con l’inizio del conflitto e il congelamento quasi totale dell’aiuto umanitario internazionale, la situazione rischia di diventare catastrofica e di acutizzarsi drammaticamente di giorno in giorno. L’inverno, non dimentichiamoci, è alle porte. Quali sono i vostri margini di manovra, in una situazione così complessa e delicata? Al momento è ancora operativa una base con del personale locale, mentre altre due sono state saccheggiate. Tenuto conto dell’urgenza e del bisogno di interventi umanitari, il nostro obiettivo prioritario è di entrare in Afghanistan il più presto possibile. Stiamo negoziando con i talebani per ottenere il permesso di ingresso. Ma, come è facile comprendere, il problema che si pone in tutta la sua drammaticità è quello della sicurezza. Per ora le nostre équipes mediche sono in posizione di «stand by» nei paesi confinanti, ossia in Tagikistan, Pakistan, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan. Tutti pronti, insomma, a partire non appena sarà possibile. La seconda opzione è quella di appoggiarsi al personale attualmente presente nel nord-est dell’Afghanistan, aspettare dei movimenti dal fronte per poi penetrare più all’interno del paese e prestare aiuti alla popolazione che incontreremo. I margini di manovra, come può constatare, sono strettissimi. Ogni giorno è una sfida. L’aiuto deve essere indipendente «Médecins sans frontières» ha preso, giustamente, le distanze dalla cosiddetta «coalizione umanitaria». Ci può spiegare i motivi di questa scelta? Siamo convinti, del resto i nostri principi sono estremamente chiari, che l’azione umanitaria deve restare indipendente. Per questo motivo Msf si è opposta all’idea di coalizione umanitaria voluta dai militari e proposta da Tony Blair, uno dei principali attori del conflitto militare. Se il lavoro umanitario è subordinato a degli scopi politici e militari, ciò significa che i bisogni delle popolazioni in situazioni di emergenza non hanno più la priorità. L’agenda politica non può e non deve dettare l’azione umanitaria. Il rischio è di non poter soccorrere in modo efficace le popolazioni che soffrono e le persone più vulnerabili perché, appunto, prima passa la politica. La distribuzione di cibo via aerea crea dunque confusione? Certamente sì. Le motivazioni alla base di questa iniziativa non sono umanitarie. Riteniamo che si tratti di pura propaganda, giacché la distribuzione di questi aiuti è prevalentemente finalizzata ad influenzare l’opinione pubblica occidentale per giustificare la guerra. Il binomio «militari-aiuti umanitari» che pericolo può creare in Afghanistan? Intanto va subito detto che anche in Afghanistan questi «aiuti» servono ad influenzare la popolazione, a placare la rabbia di chi si oppone all’intervento armato occidentale. Il messaggio che Washington e Londra vogliono fare passare è un po’ questo: «bombardiamo l’Afghanistan, combattiamo i talebani ma non siamo cattivi». Ma la realtà è che in Afghanistan cadono le bombe, e continuano a cadere, mietendo anche vittime civili. Questa sovrapposizione all’origine della «coalizione umanitaria» è davvero perniciosa e mette le organizzazioni umanitarie in una posizione estremamente delicata poiché rischia di compromettere il principio stesso dell’indipendenza degli aiuti. Come potranno gli afghani a distinguere gli aiuti umanitari indipendenti da quelli forniti dai militari? Come faranno a riconoscere l’aiuto incondizionato delle organizzazioni umanitarie da quello dei militari che con una mano offrono il pane e con l’altra colpiscono a ferro e fuoco? A lungo termine la persistenza di questa sovrapposizione rischia di essere molto dannosa e compromettere gli interventi futuri. Per funzionare gli aiuti devono essere pensati e coordinati… Certo e gli aiuti umanitari piovuti dal cielo non si basano su un’analisi attenta dei bisogni. Tenuto conto che l’Afghanistan è uno dei paesi più minati al mondo, lo sganciamento scriteriato di aiuti è anche pericoloso. Non dobbiamo inoltre dimenticare che nessuno sa che fine fanno i pacchetti. Di una cosa siamo però sicuri: non arrivano quasi mai nelle mani di chi ne ha veramente bisogno. Sono soprattutto i combattenti a trarne beneficio. Per cui l’aiuto umanitario diventa, alla fine, un aiuto militare. Dopo mesi e mesi di carestia in Afghanistan il bisogno di cibo è tale che solo una distribuzione regolare per via terrestre può davvero venire in aiuto ad un popolo stremato. L’indipendenza degli aiuti è dunque fondamentale, un principio irrinunciabile. Vista la situazione sul campo, esiste la possibilità di creare un spazio umanitario veramente indipendente? La creazione di uno spazio umanitario indipendente che non sia subordinato a quello militare ci sta molto a cuore. E, come organizzazione, lavoriamo in questo senso. Il coinvolgimento di altre associazioni, come la Croce rossa internazionale, è molto importante nella definizione di nuove vie d’accesso per fare arrivare gli aiuti. La nostra presenza nel nord-est dell’Afghanistan, dove esiste uno spazio indipendente per gli aiuti umanitari, potrà esserci d’aiuto. Potrebbe diventare il punto di partenza per una sorta di «offensiva» volta a creare nuovi spazi di intervento umanitario e, così, allargare il nostro campo di azione. Il problema è legato alla durata della guerra che compromette, come sempre, l’efficacia degli aiuti. Una paese martoriato Msf è presente in Afghanistan da venti anni. Come vivete questa situazione? L’Afghanistan è un paese mortificato, ferito in profondità. La crisi attuale si aggiunge a quelle vissute in passato. L’occupazione russa, per esempio, ha segnato profondamente il paese. Comunque in tutti questi anni di tormento, Msf ha sempre potuto operare in assoluta indipendenza. Oggi, invece, questo spazio di intervento indipendente non esiste più. E questo è un problema che ci preoccupa moltissimo. La situazione alla quale andiamo incontro ricorda quella in Somalia, dopo l’intervento degli americani con l’operazione «Restore hope». Come noto il paese si era chiuso su se stesso e dieci anni dopo il conflitto prestare aiuto alla Somalia rimane un compito difficile. La diffidenza nei confronti delle organizzazioni umanitarie, figlia della confusione che si era venuta a creare tra solidarietà e propaganda, è tuttora palpabile. Che cosa farà Msf? Continueremo a lottare per garantire un aiuto umanitario indipendente ed efficace. Attualmente persone espatriate della sezione svizzera sono al lavoro per allargare i programmi di assistenza. E siamo pronti ad intervenire in modo massiccio non appena migliorerà al situazione sul fronte della sicurezza Médecins sans frontières Rue du Lac 12, 1211 Genève 6 CP:12-100-2

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26.10.2001 01:30
Françoise Gehring Amato