Senza ccl, lo schiavismo non sarebbe un reato

Nuovo caso di sfruttamento di esseri umani nel gesso. Un’attività criminale possibile grazie alla complicità di professionisti ticinesi

Pagati 10 euro l’ora invece dei 25 franchi obbligatori per legge. Solo per qualche tempo, i primi due mesi se andava bene. Poi la paga si limitava a qualche anticipo e, verso la fine, il nulla. A quel punto, il gioco si rompe e la catena dell’omertà si spezza. Cinque degli sfruttati decidono di sporgere denuncia contro lo sfruttatore. Nuovo caso di malaedilizia nel gesso denunciato da Unia.

Un lavoro durato mesi quello dei funzionari sindacali. Il tempo necessario per conquistare la fiducia degli sfruttati, ricostruire la storia, raccogliere le prove e infine inchiodare lo sfruttatore davanti alla giustizia. Detta così può apparire semplice, ma non lo è. L’attività criminale era ben rodata, intenzionalmente studiata sullo sfruttamento dello stato di bisogno delle vittime. Almeno una cinquantina di operai, stando al numero di permessi notificati tra il 2015-2016 dalla Muvartes Sa, ditta registrata a Stabio attiva nel ramo del gesso. Persone che senza soldi si vedono costrette ad accettare paghe illegali pur di sopravvivere, illuse da promesse di rapporti di lavoro futuri in Italia “garantiti” dal proprietario della Muvartes, Andrea Ravanelli, membro della famiglia trentina che controlla il Gruppo Ravanelli, impresa di medie dimensioni per il mercato italiano.


Un sistema criminale studiato per non lasciar prove. Gli operai, alloggiati in 8-10 in un due locali e mezzo a Sementina, dovevano firmare buste paga fasulle dove venivano conteggiate ore inferiori a quelle svolte. Il “contenimento dei costi aziendali” diventava dunque duplice. Oltre alle paghe dimezzate, anche le assicurazioni sociali sono state truffate.


A consigliare Ravanelli come muoversi nella parvenza di legalità in Svizzera, ha probabilmente avuto un ruolo il ticinese A.M., amministratore della Muvartes dal 2007 e dimessosi in questi giorni. Era lui, ad esempio, che firmava e inviava all’autorità cantonale la cinquantina di notifiche di lavoratori tra il 2015-2016.


Un alto numero di persone notificate nell’arco di un breve periodo che rispondeva a una duplice esigenza. La prima, lasciare gli operai il minor tempo possibile nei cantieri ticinesi riducendo il rischio di essere intercettati dai controlli. La seconda: quando la paga tardava ad arrivare e gli operai davano segni di ribellione, si faceva arrivare “merce umana” fresca per rimpiazzarli. Ai partenti, si promettevano “compensazioni” con altri impieghi in Italia.


Una pianificazione criminale collaudata, viste le numerose realizzazioni della Muvartes eseguite su incarico di committenti svizzeri. Ai sindacalisti non è sfuggita la conseguente domanda. «È possibile che questi “professionisti ticinesi” non fossero a conoscenza dei prezzi locali per le opere di gessatura e quindi non abbiano rimarcato la consistente differenza con quelli offerti dalla Muvartes?» scrive Unia sul sito denunciamoli.ch. In altre parole, architetti e committenti svizzeri hanno guadagnato lasciando fare il lavoro sporco all’italiano? «L’offerta della Muvartes era del 30% inferiore di quelle più basse che ci sono pervenute» ha risposto ad area uno dei committenti in procinto di firmare il contratto per opere di gessatura con la ditta incriminata. Altri invece affermano che i prezzi non fossero così stracciati. Affermazioni che vanno prese per quel che sono, in assenza di prove documentate. Va detto che le offerte concernevano diverse opere della Muvartes, attiva soprattutto nel gesso ma che non disdegnava lavori in legno o da impresa generale. E nel gesso, dove si può “risparmiare” solo sul costo della manodopera perché il prezzo del materiale è pressoché identico per tutti, lo sfruttamento degli esseri umani diventa interessante.


Per ora unicamente il lucro del titolare della Muvartes, Andrea Ravanelli, è assodato. Solo per i cinque operai denuncianti, l’importo sottratto ammonta a 110.000 franchi netti. Operai che saranno risarciti a breve grazie ai soldi sequestrati dai conti bancari della ditta. Una novità non indifferente. Se fino ad oggi era sempre stata la collettività a pagare il conto degli impresari disonesti tramite la cassa insolvenza finanziata dalle trattenute sugli stipendi della disoccupazione, questa volta a pagare sono la ditta e il titolare. Merito del Ministero pubblico guidato dal Procuratore generale John Noseda che ha prontamente ordinato il sequestro degli averi bancari della Muvartes (possibile giuridicamente quando si è in presenza di un reato penale) e di un pizzico di fortuna. Quel conto infatti veniva puntualmente svuotato quando si riempiva, ma durante i giorni del sequestro, 170.000 franchi sono stati versati da un committente ginevrino, evidentemente all’oscuro di quanto stava accadendo a sud delle Alpi. Il “problema”, segnalano i sindacalisti, è che se tutti gli operai avessero denunciato, la somma sequestrata non sarebbe bastata a tacitarli, visto che il sindacato stima l’importo totale sul milione di franchi. Alla cassa sarebbe dunque passata ancora una volta la collettività. Senza dimenticare il danno sociale arrecato alle ditte oneste e agli operai licenziati perché le loro aziende perdevano i lavori affidati alla Muvartes.


Infine, il sindacato esprime una amara considerazione. Senza contratto collettivo, disdetto di recente dal padronato, la paga da 10 euro sarà una triste realtà legalizzata.

Pubblicato il

20.10.2016 16:16
Francesco Bonsaver