Fiat lux sull’Accordo generale sul commercio dei servizi (Gats). Che «sia fatta luce» sulla macchina da guerra che il Wto («World trade organization» oppure «Organizzazione mondiale del commercio») muove pericolosamente contro i servizi pubblici. Le organizzazioni non governative (Ong) temono che al tavolo del Gats (General Agreement on Trade in Services), in discussione al Wto, i paesi che contano, Usa e Unione europea in prima linea, mettano a punto un trattato ammazza-servizi pubblici: trasporti, sanità, ambiente, educazione, ecc. Del Gats si sa poco o nulla e i timori circa l’intento di condurre il tavolo nel più totale segreto hanno trovato conferma nelle scorse settimane. Ad aprile una fuga di documenti dai cassetti di Pascal Lamy, commissario europeo al Commercio, ha aperto uno squarcio: i negoziati risultano avvolti in una spessa coltre di confidenzialità che mantiene nell’ignoranza i cittadini. Le Ong chiamano allora alla mobilitazione internazionale, affinché il Wto alzi il sipario sullo svolgimento degli accordi. Una cordata di circa novanta organizzazioni ha indetto una manifestazione a Ginevra, sabato 29 giugno: «Contro il Gats, per il servizio pubblico»*.
Il leitmotiv è l’assenza di trasparenza su discussioni che riguardano la società civile. I governi sono sollecitati a «allargare il dibattito in modo da definire democraticamente le politiche da condurre in materia di servizi». Ma le rivendicazioni dei «No Gats» vanno oltre la richiesta di rendere pubblici i negoziati. Si estendono alle conseguenze che regole dissennate potrebbero avere sull’apertura dei servizi pubblici alle lobby industriali. Gli anti-Wto mettono in guardia: «gli accordi sono stati confezionati per rispondere alle attese delle multinazionali. La liberalizzazione e la privatizzazione beneficeranno esclusivamente alle grandi aziende e agli investitori». Il pericolo è che i servizi pubblici, in particolare sanità e istruzione, vengano asserviti «alle regole del mercato capitalista e trasformati in attività private generatrici di profitti».
Il Gats punta a dare spazio alla concorrenza internazionale nell’offerta di servizi e prestazioni. La fuga dei documenti Ue** è servita a far capire che, ai Quindici, la liberalizzazione e con essa l’accesso alle infrastrutture gestite dai governi, permetterebbe di piazzare il proprio savoir-faire industriale in paesi in cui i servizi pubblici avrebbero bisogno di una «dose di buon capitalismo», come ha dichiarato un anonimo negoziatore, tra le mura del Wto, a Ginevra. I documenti contengono i desiderata che Bruxelles sottoporrà ai governi di 29 paesi, tra cui la Svizzera. Questa procedura rientra nella prima fase dei negoziati : i paesi membri del Wto stabiliscono le loro pretese riguardo ai settori che vorrebbe veder «liberati» da vincoli legali e governativi, come il turismo, le telecomunicazioni, le banche, le assicurazioni, i trasporti e l’ambiente. In seguito, nella seconda fase, entro fine luglio, i desiderata diventeranno richieste formali.
A questo punto verrà dato il vero calcio di avvio di una partita che vedrà in campo 144 paesi-giocatori, fino alla data fatidica del 1° gennaio 2005, quando il mandato ricevuto a Doha sarà scaduto. «Non saranno allora i migliori a vincere, ma i più forti», avvertono le Ong, che puntano il dito sull’ipocrisia che consente il Gats, un trattato che mira in definitiva ad aprire nuovi mercati alle imprese transnazionali (spesso di marca occidentale) che dettano legge nel mondo. Alla fine del ciclo di negoziati, un consorzio di aziende telefoniche europee potrebbe per esempio ottenere l’appalto della copertura nazionale in India, mentre una cordata di assicuratori si ritaglierebbe una grossa fetta delle polizze infortuni in Brasile. «Là dove i servizi esistono, saranno messi fuori gioco dalla concorrenza straniera. Dove non esistono, sarà allora impossibile fare in modo che lo siano», pronosticano gli anti-Gats. Gli accordi concederebbero alle multinazionali di penetrare in ogni settore, le società domestiche saranno le prime a capitolare di fronte alla concorrenza straniera.
Anche la Svizzera è nel mirino dell’Ue. Alla Confederazione elvetica Bruxelles ha fatto pervenire una trentina di pagine nelle quali i funzionari europei passano in rassegna tutti i settori dei servizi. Su ognuno i Quindici avanzano richieste, osservazioni o anche consigli, in alcuni le esigenze europee diventano pressanti. Come nel settore della distribuzione d’acqua potabile che, secondo l’Ue, risulterebbe gestito da una regolamentazione troppo complessa, o anche nel settore del turismo in cui Berna è pregata di rivedere un sistema di attribuzione delle licenze eccessivamente vincolato dalle quote cantonali.
Il Gats avanza seguendo il dogma della complementarietà fra il commercio di beni e le infrastrutture di servizi, un connubio che renderebbe più efficaci gli scambi e gli investimenti. Non basta cioè abbassare le barriere per rimettere in moto il processo di crescita, che invece ha bisogno di condizioni favorevoli al flusso di beni e materie prime, sostengono i liberoscambisti. L’esempio che maggiormente risulta in voga, nelle riunioni del Wto, è quello del settore bancario. Il paese che offre il maggior numero di servizi finanziari, dal semplice versamento in contocorrente, al regolamento di transazioni complesse, o anche alla gestione degli averi, attirerà flussi di investimento che avranno come effetto di innalzare il tasso degli scambi commerciali e, quindi, quello della ricchezza nazionale. Ma come osservano gli anti-Gats, oltre al settore bancario, le imprese straniere potranno assumere il controllo dei media e delle società di comunicazione nazionali con la stessa facilità con cui potrebbero assumere il controllo di un’azienda di trasformazione alimentare. A beneficiare dell’innalzamento della ricchezza nazionale saranno allora le multinazionali, e non le comunità locali.
**www.gatswatch.org
**I documenti sono adesso disponibili presso i siti dell’Unione europea e del Wto: www.europa.eu.int/comm/ trade/index_en.htm
www.wto.org/english/tratop_e/serv_e/s_propnewnegs_e.htm |