Due scioperi in due giorni. Il motivo: da tempo le maestranze non ricevono lo stipendio. Risultato ottenuto dopo il fermo dei lavori: i soldi sono arrivati nel giro di poche ore. Ecco, riassunto telegraficamente, quanto avvenuto in due ditte edili del luganese la scorsa settimana.

I lavoratori della Iterchi di Gravesano mercoledì 14 ottobre si sono fermati. Non ce la facevano più. Da tempo, alcuni da tre mesi, non ricevevano la paga. A tenerli buoni, qualche acconto versato qua e là. A fatica. Giusto il sufficiente per mangiare qualche cosa sul pranzo. Lavoravano in diversi cantieri del luganese, dove la loro ditta aveva ricevuto dei lavori in subappalto dall'impresa generale EdimSuisse. La stessa impresa che ha vinto l'appalto del Palace, il futuro centro culturale di Lugano. I funzionari Unia hanno raccolto le loro testimonianze, registrandole su un supporto audio. Successivamente, area li ha incontrati per farsi spiegare alcuni dettagli. Sono racconti a tratti impressionanti, rivelatori della disperazione che si può vivere in certe condizioni.
Alcuni lavoratori della Iterchi avevano già lavorato nei cantieri ticinesi, mentre altri sono alla prima esperienza in Svizzera. Questi ultimi esitano a rivendicare i loro diritti. Temono di non avere tutte le carte in regola, poiché della ditta non si fidano. La paura dell'ultimo anello della catena nel chiedere il giusto, per il timore di diventare vittima due volte: senza paga ed espulso.
Ma loro si sono comportati correttamente. Tutte le mattine si presentano sui cantieri e svolgono il loro lavoro regolarmente. Il primo mese la paga non arriva. Seguono le spiegazioni e le rassicurazioni di rito dell'imprenditore. «I soldi arriveranno. Portate pazienza» viene loro detto. «Intanto prendi questo acconto». Passa un altro mese e la storia si ripete. A casa le mogli chiedono spiegazioni sui ritardi dei salari. Senza soldi è impossibile far fronte alle spese di casa e dei figli. Bollette che si accumulano, con interessi di ritardo che si aggiungono. Diventa persino difficile far la spesa per dare da mangiare ai propri figli.
Lunedì mattina, il 12 ottobre, rientrando dal Novarese dove abitano, decidono di dire «basta!». E contattano Unia per chiedere un intervento. Mercoledì i lavoratori decidono che l'unico modo per sbloccare la situazione è scioperare. Fermati i lavori, gli operai accompagnati dai sindacalisti, si dirigono nella sede amministrativa della ditta a Gravesano. Sono le 11 del mattino. Sei ore dopo, verso le cinque di sera, l'amministrazione dell'impresa versa un acconto di circa 40mila franchi in contanti agli operai. Il lunedì successivo arriva il rimanente, altri 60mila franchi. Un eccellente risultato per i lavoratori, da mesi costretti a tirar la cinghia mentre vedono crescere le bollette e le fatture a casa.
Una storia di mala edilizia a lieto fine, che però ha lasciato il segno nelle persone coinvolte.
«Lavoro qua dal primo luglio» racconta Giovanni, uno degli operai «Ho sempre lavorato, ma di buste paga non ne ho mai viste. Ci hanno dato degli acconti per tapparci la bocca. Lunedì salendo ci siamo decisi ad avvertire il sindacato perché le mogli ci stavano martellando. Ci siamo stufati perché le mogli e i figli non ce la fanno più. Prima o poi lo dovevamo fare. Anzi, lo abbiamo fatto troppo tardi. Quando la moglie deve andare a comperare la medicina per la figlia che ha l'asma, e i soldi non li ha, come credi che mi senta? Cosa dovrei fare?»
Ecco l'esperienza di Luca, un altro operaio: «Lavoro dal primo luglio. Ho preso cinquanta franchi di acconto in tre mesi, nonostante li abbia sollecitati diverse volte. Mi sono sempre stati negati. Ho due figli piccoli, uno di 10 mesi e uno di 7 anni. Ci sono molte spese: il cibo, la scuola, l'asilo» E in questi tre mesi come ha fatto a dare da mangiare ai suoi figli? «Mia moglie lavora saltuariamente, qualche ora di pulizia. Poi ci hanno aiutato mia madre e mia suocera. Cinquanta euro di qui, cinquanta di là. Insomma, andavamo avanti a singhiozzo. Ho ancora molti debiti a Novara».
Anche Mauro racconta come sopravviveva con gli acconti: «con quei pochi soldi si poteva al massimo mangiare un panino a mezzogiorno. Io mangio pane e bologna per fare nove ore di cantiere, mentre quello va in giro con una Mercedes. Ti sembra giusto?» In quelle condizioni anche il diritto di ammalarsi è pregiudicato: «Sono due settimane che ho la febbre. Ma non posso mettermi in malattia perché non so se mi ha messo in regola. È per quello che mi viene il nervoso. Non è giusto».

Pubblicato il 

23.10.09

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato