Essendo incapaci di produrre energia necessaria per vivere, qualsiasi essere vivente, dal più semplice e microscopico al più complesso (esseri umani), deve procacciarsela. Forse pochi sanno che la nostra specie, nata essenzialmente carnivora, quando scese di un gradino le toccò mettersi a lavorare non essendo geneticamente attrezzata per mangiare vegetali selvatici (producono molta cellulosa). I nostri lontani antenati si diedero allora all’agricoltura: “Una lunga lotta” – come ricorda Laura Conti – “per costringere le piante a produrre molto meno cellulosa più amido, olio e proteine”. Ciò implicò però lavorare più a lungo e più intensamente per essere più produttivi, ed estendere le coltivazioni e/o migliorare la fertilità dei suoli. Addomesticamento e allevamento animale, nonché selezione e produzione vegetale sono stati per migliaia di anni le principali risorse da cui cibandosi hanno tratto l’energia necessaria per vivere. La rivoluzione industriale avvenne senza sapere prima e tener conto poi, quando la scienza lo dimostrò, che la combustione di risorse fossili produce gas ad effetto serra. “Quell’effetto serra che ha contribuito a generare condizioni di abitabilità – spiega E. Lorenzini – ampliato a dismisura dalle attività umane si sta trasformando in un effetto pernicioso”. L’abbaglio che continua ad accecare governanti, politici, imprenditori e la maggioranza degli economisti è la non comprensione che l’attività biologica del nostro globo forma un tutt’uno in evoluzione; è il risultato della continua interazione tra le sue diverse componenti: viventi (animali, vegetali, funghi giù giù fino ai microrganismi) dove ciascuno svolge un ruolo utile per il mantenimento della vita del sistema biologico, la cui complessità permette al sistema stesso di essere più flessibile, di adattarsi ai mutamenti dell’ambiente, di avere più probabilità di sopravvivere e quindi di evolversi. Due meccanismi sono fondamentali per realizzare quello che Tiezzi chiama “il lungo e meraviglioso gioco ecodinamico della natura”: retroazione (feedback )e omeostasi (ricerca dell’equilibrio). Al modello di sviluppo dominante manca tale comprensione (l’unica pseudo-omeostasi riconosciuta è quella “meccanica” della parità di bilancio tra entrate e uscite), mentre la volontà di girare finalmente pagina è lungi dal concretizzarsi. Ne risulta che le pratiche dei “paesi avanzati” e, a ruota, di quelli “emergenti” generano scempi carichi di conseguenze: 1) appropriandosi e utilizzando sempre più energia primaria terrestre (generata dalla fotosintesi) per assicurare la produzione di beni e servizi, la sottraggono al resto della comunità dei viventi condannandola a morte: risultato, riduzione della biodiversità 2) la riduzione di biodiversità significa interruzione della lunga catena biologica che consente alle varie specie di ricavare energia per mantenere ognuna in uno stato di non equilibrio termodinamico (equilibrio c’è solo con la morte) 3) sfruttando l’energia sussidiaria contenuta nelle risorse fossili, si continua a generare gas a effetto serra, responsabile dello scombussolamento climatico in corso e, di conseguenza, del funzionamento del sistema biologico. L’economia mainstream rimane ancorata al paradigma di equilibrio, incapace di capire, spiega Rifkin, che “ogni espropriazione di energia disponibile fornisce un guadagno a breve termine a spese di una perdita antropica maggiore a lungo termine”. Quanto sta appunto accadendo |