Che sia sulla stampa internazionale o svizzera, una parola compare sempre più spesso nei titoli degli articoli: “protesta”. L’elenco è lungo: dalla mobilitazione dei popoli indigeni in Ecuador, a quella di attivisti per il clima, passando per le azioni contro la guerra russa in Ucraina o le manifestazioni contro le limitazioni del diritto all’aborto negli Stati Uniti. Le persone scendono in strada per svariati motivi. Tutte hanno una cosa in comune: il coraggio. Coraggio di lottare per una vita migliore e di alzare la voce contro le ingiustizie e gli abusi. Non dobbiamo dimenticare che senza il coraggio di donne e uomini del passato molti diritti che oggi diamo per scontati sarebbero probabilmente rimasti un’utopia: democrazia, diritti delle donne... Oggi la “libertà di manifestare” è protetta dal diritto internazionale: i diritti alla libertà di riunione, espressione e associazione obbligano infatti gli Stati a garantire la libertà di protesta pacifica. Invece di garantire queste libertà, di cercare il dialogo con i manifestanti e di proteggere gli atti di protesta, i governi rispondono con restrizioni, violenza e repressione. In molti paesi le manifestazioni sono vietate preventivamente e chi le organizza è intimidito e perseguito. Le marce di protesta sono interrotte o brutalmente represse. Chi manifesta rischia di venir ferito, incarcerato e punito in modo sproporzionato. La virata delle autorità verso la repressione è visibile anche online, dove la censura e la sorveglianza riducono drasticamente lo spazio per la protesta tramite i social media. È vero che i peggiori eccessi di violenza − come l’uso dell’esercito o di munizioni vere − si osservano soprattutto negli Stati autocratici. Ma la tendenza generale alla repressione non è limitata a queste realtà. Autorizzazioni restrittive, violenza da parte della polizia e sanzioni sproporzionate sono una realtà anche in Europa, Svizzera inclusa. Le prime vittime sono persone e gruppi già emarginati a causa delle loro caratteristiche individuali o collettive. La “libertà di manifestare” è diventata così un atto di “grazia” dello Stato, un regime speciale concesso in modo arbitrario e discriminatorio, che consente il dissenso solo in proporzioni strettamente razionate e stronca sul nascere le iniziative della società civile. Laddove gli Stati non rispettano i propri obblighi e violano i diritti umani con leggi repressive, manganelli e gas lacrimogeni è più che mai necessario esprimersi contro queste violazioni, chiedendo conto ai responsabili. Amnesty International difende il diritto alla protesta pacifica, in tutto il mondo e in Svizzera. Vogliamo che ognuno possa esprimere pacificamente le proprie preoccupazioni nelle strade, senza temere la violenza e la repressione, indipendentemente dalla propria identità, dal genere, dal colore della pelle, dalla religione o dall’origine.
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