Se le donne vogliono

"Il 14 giugno 1991, le donne hanno inventato nuove forme d’espressione... e di ascolto. Sono uscite dal silenzio e dalla solitudine. Hanno trasformato lo sciopero in festa, la rabbia in energia, l’attesa in movimento". Sono le parole di Ruth Dreifuss a quel tempo segretaria dell’Unione sindacale svizzera. Sono passati dieci anni dallo sciopero delle donne. Dreifuss è diventata consigliera federale, le donne continuano il cammino verso la parità. E esattamente vent’anni dopo il dettato costituzionale che sancisce l’uguaglianza dei diritti tra i sessi, la meta non è, per la verità, molto più vicina. Il 14 giugno 1991 le donne chiedevano un salario uguale per un lavoro di pari valore, migliori possibilità di reinserimento, la riduzione della durata del lavoro per tutti, un’equa ripartizione del lavoro fra donne e uomini per meglio conciliare vita professionale e vita familiare, un’efficace protezione della maternità, la parità nelle assicurazioni sociali. Una parte degli obiettivi è stata raggiunta, passi avanti sono stati compiuti. È innegabile. Ma la strada, la famosa strada, resta sempre in salita: le discriminazioni di cui ancora oggi sono vittime le donne ci sono ancora; sono solo meglio nascoste. E noi, come siamo cambiate in questi dieci anni? È difficile, se non addirittura impossibile, parlare per tutte. Certo è che il femminismo, con tutte le sue contraddizioni, ci ha reso più forti e consapevoli, più attente alle dinamiche e alle trappole del potere. Eppure ancora oggi ad alcune donne (gli uomini, poi, non ne parliamo...) l’etichetta "femminista" — che a molti/e fa comodo mettere in antitesi con "femminilità" — continua a dare fastidio. Come se il femminismo non dovesse mai evolvere, cambiare forma, espressione, terreno di confronto. In fondo è come l’acqua: prende la forma che noi gli vogliamo dare. La Marcia mondiale delle donne ne è un felice e riuscito esempio. Perché allora non ripartire dal 14 giugno 1991 e riprendere il filo del discorso della solidarietà come arma collettiva di protesta? Cominciando, per esempio, dal rendere visibile tutto ciò che è invisibile. Riportando sul piano politico, e in modo sistematico, esigenze e rivendicazioni. Infoltendo i ranghi delle donne in marcia per la giustizia sociale. "Se le donne vogliono — diceva lo slogan — tutto si ferma".

Pubblicato il

08.06.2001 00:30
Françoise Gehring Amato
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