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Se la guerra è pace e il pacifismo è reato

In un'Europa che si riarma e rilancia l’industria militare, chi chiede la pace è un traditore. Mentre il governo Meloni spinge nella stessa direzione, la maggioranza degli italiani rifiuta la logica della guerra e scende in piazza

C’è un insulto che va per la maggiore e riunifica l’establishment italiano nella crociata contro gli infedeli: “Pacifista”. Guai a definirsi tale, guai a dire “no alla guerra”. Giorgia Meloni ulula contro i felloni di casa nostra: “Volete mica trasformare l’Europa in una grande comunità hippie demilitarizzata?”. Persino i testi classici vengono messi all’indice, come nel caso del povero Erasmo da Rotterdam che era arrivato a sostenere che “qualsiasi pace ingiusta è quasi sempre preferibile alla più giusta di tutte le guerre”, parole quasi identiche a quelle precedentemente pronunciate da Marco Tullio Cicerone nonché a quelle suggerite in questi giorni da Gustavo Zagrebelsky. Ma se lo dici oggi, mentre sono in atto massacri dall’Ucraina alla Palestina sei un pusillanime, un occidentale rinnegato, un “pacifinto”, per farla breve sei al soldo di Putin, e nel dirimpettaio Medioriente se critichi Israele stai con Hamas, cioè sei antisemita. Il Bene si afferma sconfiggendo il Male con le armi, e il Bene siamo noi. Oggi il Male arriva da Mosca, e come dice Corrado Augias “quando Hitler è alle porte, è un dovere armarsi”. L’UE ne è convinta e pretende una spesa di 800 miliardi per rendere competitivi i 27 eserciti europei, i tedeschi si portano avanti cambiando la Costituzione per poter bruciare quasi mille miliardi nelle fonderie della famigerata Krupp che sui carri armati la sa lunga.

 

L’Unione europea si rivolge anche alle famiglie e alle scuole perché addestrino i giovani a combattere e, al tempo stesso, si dotino di kit di sopravvivenza per 72 ore nel caso scoppi la guerra, magari quella nucleare, con temperino svizzero a sette lame (da noi si opterebbe per un pattada sardo per ragioni sovraniste) Bondì Motta e cordiale. E i miliardi europei destinati alla spesa sociale vengono dirottati verso gli armamenti, più richiesti dei SUV e delle city car e più profittevoli delle TAC e dell’assistenza medica, dato che cresce la domanda di carri armati.

 

Però. Però il cuore degli italiani, intesi come cittadini e cittadine, non si infiamma per i francesi che offrono le loro armi atomiche, adesso che Washington non ci vuole più bene, per impedire ai cavalli dei cosacchi di abbeverarsi alle fontane di San Pietro. Né si mostrano volenterosi come gli inglesi pronti a mandare i soldati in Ucraina. Anzi, l’ultimo attendibile sondaggio dice che il 94% è contrario a inviare truppe d’attacco o di difesa o di interposizione a protezione di Zelensky, idea malsana che convince appena 6 italiani su 100. La maggioranza continua a non condividere l’invio di armi destinate ad alimentare una guerra sciagurata e spera invece almeno in una tregua che possa portare a una pace, anche se ingiusta, pensando che la vittoria finale contro il Male invocata da Bruxelles sia un imbroglio le cui conseguenze le pagherebbero, come da tre anni la stanno pagando, soprattutto, i poveri ucraini mandati al massacro negli interessi di un’America che neanche ci vuole più bene e la guerra (dei dazi) la fa contro noi europei. Se non un imbroglio, la vittoria finale contro il nemico potrebbe trasformarsi in una catastrofe nucleare e allora il kit di sopravvivenza per 72 ore servirebbe a ben poco. Il 66% degli italiani sceglie la diplomazia e non missili, cannoni e bombe. In parole povere, gli italiani sono disfattisti come urla al congresso del suo partitino Carlo Calenda additando al pubblico ludibrio di Giuseppe Conte che vuole riempire le piazze contro la guerra, invitandolo a unificarsi con la Lega di Salvini al servizio di Putin. Il M5S, starnazza, va cancellato al punto che Giorgia Meloni, ospite d’onore al congresso di Azione, arriva a dire: così mi fai passare per “moderata”. È nato un amore.


A Strasburgo si è votato per approvare la politica di “difesa” dell’UE, l’Europa del ReArm di Von der Leyen. La destra italiana si è spaccata in tre, Lega contro, Forza Italia a favore e Fratelli d’Italia astenuti (Meloni deve aver guardato i sondaggi sul carattere poco combattivo dei suoi sudditi). Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra compattamente contrari, il PD ha votato contro il riarmo ma in tre a favore, però sulla risoluzione finale che prevede il riarmo ha votato sì, con l’eccezione dei due indipendenti Cecilia Strada e Marco Tarquinio, contrari. Le mediazioni a cui lavorano la Schlein e Zingaretti più di questo non riescono a ottenere in un partito che tiene insieme armaioli e pacifisti totali.

 

Il 5 aprile in piazza a Roma contro la guerra

Contro il riarmo, contro un’idea di sicurezza che affossa diritti umani, sociali e di cittadinanza in nome dell’emergenza bellica e avanza l’idea folle di una riconversione dall’auto in crisi all’industria militare, la CGIL ha riunito i suoi militanti insieme alle associazioni che aderiscono alla “Via maestra” (che è la Costituzione). E sabato 5 aprile è la volta del movimento guidato da Giuseppe Conte con una manifestazione a Roma che si preannuncia molto grande contro la guerra. Hanno aderito associazioni laiche e cattoliche, la Tavola della pace, l’ARCI, Greenpeace, molti intellettuali (dallo storico Barbero a Barbara Spinelli, dal rettore dell’Università per stranieri a Montanari al giurista Ferrajoli ad Alex Zanotelli). La CGIL non formalmente, solo perché il sindacato non aderisce a iniziative di partito, mentre aderiscono l’Alleanza Verdi Sinistra e Rifondazione comunista. Un po’ di PD sarà in piazza, un po’ a casa. Come sempre.

 

Per passare dall’1,5% del PIL al 2% nella spesa militare l’Italia dovrebbe dissanguarsi, per arrivare al richiesto e improbabile 3% dovrebbe aggiungere 65 miliardi ai 33,5 che già spende, senza prendere in considerazione la pretesa di Trump di far spendere ai paesi aderenti alla NATO il 5% del PIL. Nell’industria bellica lavorano in Italia 30mila addetti a cui andrebbero aggiunti i dipendenti delle fabbriche di armi “non belliche” come la Beretta che portano il totale a 52mila, lo 0,8% dei dipendenti del manifatturiero, lo 0,5% del PIL contro un’incidenza del 5,2% di occupati nell’automotive (272mila addetti nell’industria, 1,28 milioni se si conteggiano anche i dipendenti nei servizi annessi). Ma va considerato che all’aumento del fatturato nel settore bellico non corrisponde una crescita dell’occupazione che invece è diminuita in 10 anni del 16%, mentre sono esplosi i profitti con un più 773%. Un cannone o una corvetta fanno guadagnare ai padroni e agli azionisti più di un SUV, cosicché di riconversione si può anche parlare. Pazienza se per pagare l’aumento dei costi per la difesa bisognerà allungare le liste di attesa negli ospedali e aumentare il numero di alunni per classe.

 

 

FOTO: AdobeStock

Pubblicato il

03.04.2025 16:08
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