Se la Svizzera fosse più neutrale e meno vassalla

Informazioni, notizie, commenti a non finire che riguardano le elezioni americane. Si reggono, forse, su tre giustificazioni: la potenza imperiale statunitense è tale che non riusciamo a sottrarci e ci ingabbia, in politica o economia, nelle relazioni internazionali, grazie anche alla supremazia del dollaro; ciò che capita negli Stati Uniti finisce sempre per imporsi anche dalle nostre parti, dal banale Halloween, alle follie finanziarie, all’arrogante “trumpismo”; l’attuale inquilino della Casa Bianca, se rieletto, non è che ci lasci tranquilli, in termini politici-economici, democratici, per comprovati comportamenti paranoici-caratteriali.


Negli scorsi giorni si è pure dato risalto a una notizia definita “storica”: nei primi otto mesi dell’anno gli svizzeri hanno esportato negli Stati Uniti più che in Germania. La differenza è di 100 milioni di franchi (26,9 miliardi contro 26,8), ma la si è enfatizzata quasi un avvertimento baldanzoso indirizzato all’Unione europea: abbiamo altri sbocchi. Sono seguite poco dopo le plateali lodi alla Svizzera dell’ambasciatore trumpiano a Berna, con malcelato bordone antieuropeo.


Si è invece sottaciuta una notizia più importante: gli investimenti diretti svizzeri negli Stati Uniti si avvicinano ai 350 miliardi di dollari. Crescita del 126 per cento in dieci anni. Quasi la metà del prodotto interno lordo nazionale. Più di dieci volte il saldo commerciale con quel Paese. Non sono investimenti qualunque: gli svizzeri sono i principali investitori stranieri nel settore Ricerca e Sviluppo americano. Quando spesso scarseggiano in casa i denari per quel settore. Più di 500 società elvetiche sono insediate negli Stati Uniti, con 3.800 filiali che occupano più di mezzo milione di americani.

 

Ragionassimo come Trump e adottassimo il “first Switzerland” (lo si pretende con l’Unione europea)  dovremmo definire gli svizzeri ingenui o imbecilli. Una piccola fortuna ci assiste ancora: dura a maturare, nonostante le promesse al consigliere federale Maurer in una vassallatica visita alla Casa Bianca, l’accordo di libero-scambio. Altrimenti franerebbe pure l’agricoltura, con l’importazione di alimenti transgenici e la carne agli ormoni.


L’esempio svizzero è estensibile. E lo dice un rendiconto del Dipartimento del Tesoro americano: l’Unione europea detiene 1.587 miliardi di dollari in titoli di Stato americani (superando la Cina: 1.089 miliardi di dollari). L’Unione europea e la Svizzera (più ovviamente la Cina) sono i grandi finanziatori al mondo del debito pubblico Usa, che non ha limiti.
Se ne possono trarre alcune conclusioni.


Trump, che ama minacciare e fare il gradasso, sarebbe una tigre di carta se l’Europa volesse utilizzare le armi negoziali potenzialmente a sua disposizione. Anche la piccola Svizzera avrebbe di che manovrare se fosse più neutrale e meno vassalla (ne approfitterà... per l’acquisto dei nuovi aerei da combattimento). Si dirà che tutto incrementa le esportazioni verso gli Usa e gli affari finanziari delle banche (che poi sempre ci rimettono, con fisco, controlli e proibizioni, crisi subite). Ma da qui seguono, a tenaglia, l’aumento dei dazi di Trump o le sue continue minacce agli europei; gli avvertimenti alla Banca Nazionale per le manovre sul tasso di cambio; lo spostamento esorbitante di capitali verso gli Usa, mantenendone l’artificiosità economica e i devastanti giochi di potenza, mentre cresce  paradossalmente la dipendenza da fondi di investimento americani che acquistano e governano imprese svizzere, condizionando settori strategici dell’economia come alimentare, chimica, meccanica, finanze.
 

Pubblicato il

22.10.2020 09:25
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