Alle volte da dove meno te l’aspetti ti arrivano analisi e conferme di ciò che si è spesso sostenuto, criticando le politiche dominanti, trovando però immancabilmente opposizioni di maggioranza imbastite o sul preconcetto dell’atteggiamento “ideologico” («la vostra è solo una posizione ideologica, non ha niente a che fare con la realtà») o sul convincimento. Benché mai seriamente dimostrato, anzi persino smentito dai fatti, che c’è solo una politica che può risollevare o rendere attraente la propria economia («è diminuendo le tasse sulla ricchezza o favorendo fiscalmente gli insediamenti di imprese che cresceremo o ci daremo stabilità»). La Banca dei Regolamenti Internazionali (definita anche la Banca delle Banche centrali, che ha sede a Basilea) esce con un lungo e persino appassionante documento di lavoro, realizzato dai suoi esperti, che probabilmente nessuno si attenderebbe da tale istituto. Assume anche particolare significato in un momento economico in cui non campeggia solo il termine inflazione (aumento generalizzato dei prezzi), ma appare anche quello di recessione. Ora, si dimostra in quel documento, ogni recessione fa sempre aumentare le ineguaglianze, ma, soprattutto, ritornata l’espansione (o il ciclo di crescita), non è che si riaggiustano le cose, anzi si mantengono o peggiorano e favoriscono chi era già ben posizionato. Basterebbe dare un’occhiata a quel che è capitato dopo la crisi del 2008. La causa? Diciamola subito, anche perché è la tesi che vi si sostiene: più i governi seguono una via “liberale” (o liberistica?), meno la politica budgetaria (o di bilancio) è efficace per sostenere l’attività, l’occupazione e per lottare contro le ineguaglianze con il ritorno del ciclo economico. Traduciamo in altri termini. Si sono sfornati studi sulle ineguaglianze (di reddito o sociali) insistendo sulla dimensione strutturale della loro crescita e progressione. E cioè: la mondializzazione e le dislocazioni, la messa in concorrenza dei lavoratori stessi (produrre là dove il costo del lavoro è basso o non ci sono protezioni sociali), la tecnologia, le questioni di genere (o le tensioni di razza o di immigrazione). D’accordo, c’entrano, eccome! Ma anche il ciclo economico, le politiche congiunturali o quelle di “promovimento” hanno e hanno avuto un’importanza pressoché analoga e dimenticata. In concreto, che cosa ci interessa maggiormente dello studio della Bri? Sostanzialmente, riassumendo, due cose. La prima: ogni crisi, ogni recessione economica non solo accresce le diseguaglianze, ma lascia un effetto duraturo sulle ineguaglianze; ciò dimostra o che le politiche adottate non sono efficaci o che non ci si è preoccupati a sufficienza delle ineguaglianze. Da tener presente, dunque. La seconda: il documento dimostra ampiamente come negli ultimi trent’anni, dovunque, anche nei periodi di espansione economica, ci si è preoccupati soprattutto di diminuire sistematicamente la progressività dei sistemi fiscali pensando così di accrescere e far gocciolare la ricchezza. Con un effetto assurdo e perverso: più i governi seguono o non si preoccupano delle politiche inegualitarie, meno riescono a migliorare i loro bilanci, persino quando la crescita ritorna; ad accrescere il debito pubblico è la logica liberista che pretende la riduzione delle imposte e la loro progressività, la parità dei bilanci e, conseguentemente, la riduzione della protezione sociale. Dunque, quel documento della Bri dice anche quello che non dovrebbe essere fatto. Anche in Ticino.
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