L'anno che sta terminando, il 2006, resterà come una pietra miliare nella storia dell'emigrazione italiana. Infatti, dopo decenni di lotte e di battaglie politiche degli emigrati, gli elettori italiani residenti all'estero, per la prima volta in assoluto, la scorsa primavera, hanno potuto votare per corrispondenza per eleggere nel Parlamento italiano dodici deputati e sei senatori, loro diretti rappresentanti essendo questi anche residenti all'estero, come prescritto dalla relativa legge sul voto all'estero promulgata dal parlamento italiano nel dicembre 2001. Così che, adesso, i quasi quattro milioni di cittadini italiani (senza dimenticare i circa sessanta milioni di italofoni) residenti all'estero si trovano ad essere rappresentati istituzionalmente, a livello locale nell'ambito delle circoscrizioni consolari italiane, dai Comitati degli Italiani all'Estero (Comites) eletti a suffragio universale ed a livello nazionale, a Roma, dal Consiglio Generale degli Italiani all'Estero (Cgie). A questi due organismi, peraltro unicamente consultivi, si è aggiunta, così, dopo le ultime elezioni politiche, anche la delegazione dei diciotto parlamentari eletti nella Circoscrizione Estero che, ovviamente, ha una valenza notevole non certamente paragonabile a quella dei Comites o dello stesso Cgie. Infatti, in quanto parlamentari, i "diciotto" sono membri del legislativo, ovvero di quel consesso in cui si fanno e si approvano le leggi che regolano la vita di una nazione e dei suoi cittadini e, quindi, per molti aspetti, anche di quelli che vivono all'estero. Da qui la giustificata e forte aspettativa che in questi diciotto parlamentari ripongono, oggi, gli emigrati italiani. Specialmente dopo che proprio quattro dei senatori eletti all'estero nella lista de L'Unione e l'indipendente Pallaro sono risultati determinanti nella Camera Alta per la maggioranza che sostiene il governo Prodi, una circostanza, questa, forse irripetibile. E non potrebbe essere altrimenti, visto e considerato che, per anni ed anni, da parte dei più convinti sostenitori del voto all'estero si è predicato ai quattro venti che, solo attraverso una rappresentanza in parlamento, gli emigrati italiani potevano ottenere dall'Italia quell'attenzione che meritavano e delle leggi che non li penalizzassero! Naturalmente le solite cassandre (purtroppo ve ne sono in abbondanza anche tra gli emigrati), in più occasioni, già hanno iniziato a criticare gli eletti all'estero di non saper difendere gli interessi delle comunità che li hanno votati. Un comportamento veramente esagerato, anche se può essere giustificato dalla dialettica politica. Innanzitutto perchè, comunque, dodici deputati su 630 e sei senatori su 315 non potranno certamente fare grandi cose senza il supporto dei loro colleghi eletti in Italia. In secondo luogo perché gli eletti all'estero dovranno pure fare un noviziato per imparare a conoscere i meccanismi della politica italiana e del parlamento. Meccanismi che non sono sicuramente paragonabili a nessun altro tipo di esperienza che gli stessi possono aver avuto in emigrazione. Infine perché in questo primo scorcio di legislatura (sette mesi) gli eletti si sono trovati subito coinvolti in una attività parlamentare (Documento di politica economica e finanziaria, decreto fiscale e legge finanziaria) tutta protesa a salvare ed a rilanciare l'economia e la finanza dell'Italia lasciata in "mutande", dal precedente governo di centrodestra, per cui, in una situazione di diffusa austerità, neppure dalla loro presenza in parlamento ci si poteva attendere subito degli effetti positivi per gli italiani all'estero. Ciò nonostante, le cronache parlamentari ci hanno informato che mai, come in questa legislatura, nel parlamento italiano si è discusso così tanto di problemi che riguardano le comunità italiane all'estero e già questo, al di là di alcuni risultati positivi che pure ci sono stati anche a favore degli emigrati, mi sembra un fatto estremamente importante! E se il buon giorno si vede dal mattino……. |