C’è un interrogativo, che è soprattutto una sorta di paradosso, emerso dalle elezioni americane, ripreso anche su grandi giornali (come il New York Times, ad esempio, o il Guardian inglese), che non può non interrogare anche noi per la lezione utile che ne scaturisce. L’interrogativo è questo: perché la “working class” (la classe operaia) vota contro i suoi stessi interessi? Infatti, dalle analisi del voto risulta chiaro che gli elettori della “working class” hanno scelto Trump e i Repubblicani, dando loro anche la maggioranza al Congresso. Un attento politologo (Jeff Madrick del NYT) scrive che rimane “uno dei misteri politici per cui i lavoratori americani bianchi votano in gran numero per i Repubblicani, quando, dopotutto, sono i Democratici a sostenere l’aumento dei salari minimi, a estendere le assicurazioni contro la disoccupazione, le cure mediche (quelle volute dal democratico Obama), la sicurezza sociale e a sostenere i sindacati, come perno della democrazia economica”. E, perdipiù, quando a sostegno di Trump (fattosi miliardario con l’immobiliare) è apparsa ad ognuno, strafottente (con alle spalle la arlecchinesca onnipresenza di Musk, il miliardario del “lo Stato sono io!”) la potente e autoreferenziale oligarchia economica (quella che abbassa i salari, usa pratiche di lavoro abusive, licenzia come e quando vuole, accusa i sindacati d’essere la rovina di tutto) oppure la compagnia monopolistica (Amazon, Monsanto, AT&T, Pfizer, Walmart, Comcast) che, commenta lo stesso politologo citato, “costituisce un nuovo fenomeno politico, una forma di governo centralizzato, autoritario, del Ventunesimo secolo”. Che ora ha assoldato il presidente. Si sta insomma affermando, anche con le nomine dei “ministri”, una sorta di “management” economico di grande impresa, senza scrupoli nei confronti dell’interesse collettivo (basti pensare alla negazione del problema climatico nonostante le conseguenze). E allora, appunto, perché coloro dal cui lavoro dipende il futuro si sottomettono passivamente? Si è risposto: perché prevale la legge dei “grandi numeri” e dove trionfano solo i grandi numeri le persone non contano. Tutto si riduce a pochi schemi comportamentali: tanto entra o non si lascia entrare (input) e tanto esce (output) e ognuno quantifica o immagina il proprio tornaconto possibile. E così nasce allora il paradosso vincente: la destabilizzazione sociale ed etica, creata dalla concentrazione della ricchezza e dagli squilibri distruttivi che socialmente provoca – che è sotto gli occhi di tutti, si estende, di cui la maggior parte è e sarà vittima – lavora a favore dell’ideologia trumpiana o della cosiddetta “trumpeconomics”: produce cioè una domanda acritica di sicurezza (soprattutto psichica). La quale sostituisce la concretezza dei problemi con la proiezione facile di illusioni (con l’invocazione corale quasi religiosa: “maga”! o make america great again, faremo tornar grande l’America!). Quando la “working class” vota contro sé stessa, quando si lascia attrarre dai semplificatori e mistificatori, perde la sua coscienza di classe o questa coscienza sarà dannatamente danneggiata, con la democrazia politica e sociale. Se non ci si impegna a combattere politicamente e sindacalmente quel “paradosso”, quel mostro apolitico e antidemocratico. È la lezione da portarci a casa. Perché può capitare anche da noi. |