Immaginate due rumeni sequestrare un poliziotto in piena notte, portarlo in un bosco, massacrarlo di bastonate, lasciarlo lì agonizzante e andarsene a mangiare una pizza. Immaginateli giustificarsi dicendo che “in quel periodo eravamo molto stressati”, che il procuratore chieda una pena sospesa con la condizionale e che il giudice la confermi. Immaginate l’ex-municipale di Lugano Erasmo Pelli intervenire qualificando l’episodio di “ingiustificabile”  precisando che deve però essere interpretato come un segnale di malessere nella comunità rumena e il responsabile del dicastero di polizia, Michele Bertini, dichiarare che gli autori del gesto “sono uomini e come tale soggetti all’errore”.

 

Che cosa sarebbe successo? I giornali sarebbero stati inondati di lettere indignate, avremmo letto editoriali scandalizzati, i commenti sui blog avrebbero invocato la pena di morte e la giustizia privata, i magistrati sarebbero stati minacciati e politici opportunisti sarebbero intervenuti chiedendo la testa di tutti i responsabili e l’espulsione di tutti i cittadini rumeni. E ancora resto prudente, visto che in Ticino c’è chi spara contro i bambini nomadi che dormono nelle aree di sosta e chi dopo applaude titolando sul suo giornale “Rom Raus o campi di lavoro”


Sappiamo invece che, invertendo i ruoli di vittima e carnefici, lo scenario si rivela ben diverso. Nel marzo 2013, due agenti della polizia comunale di Lugano hanno sequestrato, massacrato e abbandonato in un bosco un cittadino rumeno la cui unica colpa agli occhi degli agenti era, appunto, quella di essere rumeno come i ladri che avrebbero rubato in casa di uno di loro. Per un simile comportamento, la pena massima è di sette anni e mezzo. Il procuratore generale ha chiesto e ottenuto un anno e mezzo, con la condizionale di soli due anni, il minimo previsto dalla legge. Insomma, mentre gli stranieri fermati senza documenti possono essere incarcerati per settimane, una brutale aggressione razzista non è valsa nemmeno un giorno di prigione.


Pochissimi hanno reagito, compreso qualche commentatore occasionale che ha indicato come la colpa degli agenti fosse in realtà quelle di “non avergliene date di più” o di non aver sotterrato la vittima, così che non fosse mai ritrovata. Reazioni indignate? Quasi nessuna. Articoli incendiari su domenicali fascisti? Non pervenuti. Comunicati stampa e riunioni d’urgenza convocate dal ministro delle Istituzioni? Inutile illudersi, uno dei due agenti è stato eletto sulla lista leghista nel Consiglio comunale di Monteceneri e sarebbe alquanto strano vedere un maggiore dell’esercito prendersela con le sue stesse truppe.


Almeno il licenziamento? Non esageriamo. Incurante delle giurisprudenze del Tribunale amministrativo federale (TAF A-4611/2012 del 18 dicembre 2012, par. 4.4) e della Corte europea dei diritti umani (decisione Gäfgen c. Germania, Gran sala, § 125) che impongono l’allontanamento immediato degli agenti colpevoli di violenze, il Dicastero servizi urbani ha offerto un nuovo impiego ai due poliziotti, cambiando loro semplicemente il mansionario. Non vorrei sembrare ripetitivo (si veda area 1/2014 del 24 gennaio, pagina 15 o www.areaonline.ch/rubriche ), ma che cosa pensare della giustizia di un Cantone dove la divisa e le motivazioni razziste sembrano essere considerate attenuanti ai crimini più gravi, dove gli agenti violenti hanno un salario garantito ma dove è bastato un volantino antirazzista a far perdere a un maestro il suo posto di lavoro?

Pubblicato il 

20.02.14

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