Se faremo la fine dei cavalli

L’imbecillità fu ammettere, davanti a un’aula affollatissima di liceali, che ero pessimista. Con i giovani non si deve dirlo. Lo scienziato, esperto in intelligenza artificiale, aveva mostrato filmini mirabolanti di robot che si muovevano, facevano cose “umane”: quello era il futuro. Attenzione e incantamento assicurati, cui opponevo qualche tabella critica sull’evoluzione dell’economia. Per poi dichiararmi su domanda, più infastidito che cosciente, ch’ero pessimista. Dovevo dire: critico. Anche se, a ben pensarci, la realtà sopravvenuta subito dopo, economicamente, non mi ha smentito. Ci sono sempre fattori esogeni, come una pandemia o una guerra, che possono darti ragione.
Gli uomini conosceranno lo stesso destino dei cavalli? Lo si chiedeva, non tanti anni fa (1980), un economista, premio Nobel, in cui oggi incappa ogni studente di economia, non solo per le sue formule e funzioni, ma anche perché sosteneva che “in economia è necessario sporcarsi le mani con i dati osservati”. Quell’economista, Wassily Leontief, si interessò alla scomparsa degli equini nelle metropoli tra il XIX e l’inizio del XX secolo: auto e trattori avevano estromesso i cavalli e la loro forza di trazione e una nuova tecnologia, il motore a combustione, era riuscita a sostituire una creatura che, per millenni, aveva svolto un ruolo centrale nella vita economica. Leontief pronosticava quindi che il vento tecnologico, che aveva sbaragliato i cavalli, avrebbe fatto lo stesso con gli umani. Con i robot, “che finiranno per sottrarci il lavoro”.
La paura dell’automazione dei compiti o dell’innovazione ha accompagnato la storia del progresso industriale. Ecco allora i pessimisti e i garantisti. Questi hanno sempre predetto che le “vittime della tecnologia” si risistemano. E hanno avuto spesso ragione. Le cose potrebbero però cambiare nei prossimi anni. C’è chi sostiene (v. Daniel Susskind, economista, Università di Oxford, A World Without Work, Un mondo senza lavoro), che il posto degli umani nel mondo del lavoro potrà solo contrarsi. L’intelligenza artificiale agisce come un rullo compressore in numerosi settori di attività (dall’industria, alla ristorazione, alla medicina, all’assicurazione, alla banca, alla Giustizia). Ciò cui si è dato risalto nei media negli scorsi giorni, la sua impressionante capacità a dotarsi di capacità relazionali o l’attitudine a rilevare anche le emozioni umane, genera turbamento.
Se ne deduce che la “disoccupazione tecnologica” non sarà un problema analogo a quello del passato. Riassume Susskind: “Nei prossimi decenni potremmo essere più ricchi che mai, in un mondo dove il lavoro sarà merce rara”. Le sfide saranno però infinite: l’ineguaglianza (come ripartire i frutti della prosperità nella società?); la funzione dello Stato (come garantire un reddito di base, come prelevare le imposte?); il potere politico (che farà di fronte al potere immenso delle società tecnologiche?); persino la guerra (manderemo a combattere dei robot?). Soprattutto: quale sarà il nostro senso della vita quando il lavoro avrà una funzione meno importante? Quale spazio sapremo dare alla libertà, agli svaghi, al lavoro non remunerato?
Non è fantasia. È il nuovo paradigma che è già arrivato o sta arrivando, che non è solo economico, è di vita. Per alcuni vorrà dire “sentirsi ancora utili”. Per la maggior parte riflettere per sapere ciò che significa “avere una vita ricca di senso”. Per l’economia  andare molto oltre l’economia. Può essere una riscoperta dell’uomo.

Pubblicato il

02.02.2023 17:16
Silvano Toppi