«Se fai il nomade sei meno svizzero»

Incontro con un rappresentante della comunità jenisch

Sono arrivati gli zingari: la carovana degli jenisch è giunta in Ticino lo scorso 15 giugno. E noi siamo andati a incontrare i nomadi nel campo che il comune di Giubiasco mette loro a disposizione da anni senza avere mai registrato problemi. Non hanno voglia di parlare con la stampa: «Siamo svizzeri, paghiamo le tasse, ma non siamo davvero accettati. A che cosa serve raccontarvi la nostra storia? Basta andare in internet e si trovano tutte le informazioni». Come quelle che si riferiscono al programma criminale perpetuato in Svizzera dal 1926 al 1973 contro gli jenisch, le cui donne furono sterilizzate e i bambini sottratti alle famiglie.

 

Vittime nel passato recente di un programma forzato di assimilazione, firmato da Pro Juventute con il beneplacito delle autorità federali, ancora oggi faticano a vedersi riconosciuti i propri diritti. Come quello, sancito dalla Costituzione, di avere a disposizione in ogni cantone un’area di sosta che favorisca gli spostamenti per lo svolgimento delle loro attività di commercianti ambulanti. Per buona parte della popolazione non sono altro che zingari (detto in termini dispregiativi).

In realtà sono cittadini come gli altri, ma con un diverso stile di vita. È forse un peccato?

 

 

La quasi intervista con il pastore evangelico degli jenisch:
“Siamo considerati ladri di polli, ma abbiamo la fedina penale pulita”


Gentile è gentile, sorriso stampato sulla bocca, ci offre subito da bere, del resto è un uomo molto religioso che rispetta i valori cristiani dell’accoglienza. E ringraziamo che fa caldo e siamo terribilmente assetati. Mantiene le distanze ­– la presse... – e lo fa con uno spirito che interpretiamo come lievemente sarcastico. Non ha voglia di parlare Mario Gerzner con i giornalisti. Gerzner è uno jenisch, professionalmente attivo nell’antiquariato, ed è anche pastore evangelico: a Giubiasco si trova a condurre una missione pastorale per i fedeli che sono giunti con le loro roulotte. Gli ricordiamo l’importanza svolta dai media nel veicolare l’informazione: informare dovrebbe essere anche una loro priorità in quanto la popolazione è spesso tratta in inganno proprio dalla mancata conoscenza sugli jenisch.

 

Ma sui diritti negati, sugli abusi subiti con l’azione di Pro Juventute che per molti jenisch si è tradotto nell’estinzione delle loro famiglie, sui torti che ancora oggi vivono e dei pregiudizi sul loro conto non vuole aggiungere nulla. «Non serve a niente, è sempre stato e sarà sempre così. Vuole che le racconti la nostra storia? Possiamo andare su internet e leggere assieme i tanti articoli e documenti che sono stati pubblicati su di noi....».
Impossibile stimolarlo nella conversazione, ha una reazione solo quando facciamo accenno al pregiudizio che resiste e associa gli zingari ai ladri. «Sì, certo, noi siamo i ladri di polli...». L’argomento lo infastidisce – effettivamente deve essere esasperante essere guardati dagli altri come qualcuno che ti vuole fregare. «Noi paghiamo le tasse con i proventi del nostro lavoro come ogni svizzero. Ci guadagniamo da vivere onestamente e le roulotte sono le nostre case, comprate con i nostri risparmi». Poi sparisce ed eccolo ritornare sventolandoci sotto il naso l’estratto del casellario dove risulta che ha la fedina penale pulita: «Io posso mostrarlo senza problemi, ma se uscissimo da questo campo, in quanti fra la popolazione potrebbero fare lo stesso?».


La discussione continua con alcuni rappresentanti del gruppo cantonale che si occupa della questione nomadi in Ticino e con un delegato del comune di Giubiasco, il quale segnala come non ci siano mai stati problemi di convivenza con gli zingari svizzeri. E qui si apre la discussione sui vari ceppi di nomadi. Perché ci sono delle differenze. Noi solleviamo la questione che il Consiglio dell’Onu invita gli Stati a mettere a disposizione delle aree di sosta. Su questo punto sono tutti drastici: prima gli svizzeri perché c’è un dovere preciso stabilito da Berna. L’indicazione dell’Onu non viene considerata: è un’indicazione, non un ordine. E poi non tutti gli zingari hanno un comportamento onesto e rispettoso nei confronti dei luoghi ospitanti.


Che cosa ne pensa il pastore Gerzer? «Io predico il Vangelo e non posso giudicare...». Ma l’espressione facciale è eloquente. Non c’è un seguito al discorso lasciato in sospeso. Abbiamo però capito: siete svizzeri...

 

 

La mediatrice culturale: “Individuate tre possibile aree di sosta”

La presenza degli jenisch in Ticino si trasforma in un’occasione per intervistare la mediatrice culturale Nadia Bizzini, che fa parte della “Cellula operativa” del Dipartimento delle istituzioni.


Il terreno messo a disposizione dal comune di Giubiasco è una soluzione provvisoria, in attesa di una risposta cantonale. A che punto è la ricerca di un’area di sosta permanente in Ticino per gli jenisch?
«Non posso dire nulla al riguardo, se non che sono state individuate tre superfici di proprietà di Armasuisse e sono state sottoposte a Berna. Si aspetta ora la presa di posizione dell’autorità federale».
Bocca cucita sulle possibili ubicazioni, il che detto per inciso non ci interessa neppure troppo, l’importante è che si stia perseguendo l’obiettivo.


Gli jenisch hanno il passaporto rossocrociato, eppure da buona parte dei loro concittadini non sono considerati svizzeri. Nell’immaginario collettivo sono unicamente identificati (o bollati) come zingari. I diretti interessati, a lungo emarginati dalla società e guardati tuttora con diffidenza, riescono a sentirsi svizzeri?
«Si considerano svizzeri in modo assoluto: del resto risiedono nella Confederazione dalla sua nascita nel 1291. La nazionalità per loro è importante per l’aspetto identitario che rappresenta: la cittadinanza comporta doveri, ma anche dei diritti. Essere svizzeri li distingue così da altri gruppi di zingari, come rom, sinti e manouches, i quali non possono vantare i diritti legati alla cittadinanza. Gli jenisch sono una minoranza, ma pur sempre svizzera. Per capirsi, anche i ticinesi sono e si sentono giustamente svizzeri, ma quando superano le Alpi capiscono che non tutti li considerano al loro pari: siamo anche noi una minoranza linguistica, culturale e politica, che deve battersi per essere trattata in maniera uguale alle altre regioni. Gli jenisch hanno vissuto non solo disparità di trattamento, ma un tentativo di assimilazione forzata che ha portato a internare centinaia di bambini per renderli sedentari. È ancora viva la cicatrice di 50 anni di violenze, con le sterilizzazioni delle donne e la sottrazione dei minori alle famiglie. Sono fatti tragici quelli che sono stati commessi nei loro confronti fino agli inizi degli anni Settanta, il che spiega la loro ricerca di accettazione, ma anche le loro battaglie politiche, reclamando parità di diritti e lottando contro la discriminazione. Vogliono che la loro scelta di nomadismo, che non è più radicale come un tempo quando si spostavano in continuazione, sia totalmente accettata e considerata uno stile di vita ancorato culturalmente».


Da dove deriva l’accanimento contro gli jenisch?
«Le comunità degli zingari sono sempre state perseguitate nella storia. L’accanimento esplode con la nascita degli Stati nazionali, i quali affermano il principio dell’identità legata al territorio. Prima della modernità, le persone non possedevano la cittadinanza, bensì appartenevano a caste (gleba, aristocrazia, clero) e chi aveva i mezzi poteva spostarsi liberamente. Si ipotizza che gli jenisch persero il diritto alla cittadinanza, quando le autorità locali adottarono una strategia alla lotta contro la povertà: al fine di astenersi dal prendere a carico le persone bisognose, i comuni decisero di togliere il diritto alla cittadinanza a coloro che non si conformavano alla minima regola di comportamento civile e confessionale. Col decreto “Heimatlos” fu concessa la cittadinanza agli apolidi presenti in Svizzera che potessero dimostrare d’esserne originari. La maggior parte degli Heimtolos che potevano fare risalire un’origine svizzera era jenisch: originari dell’Europa centrale, negli anni successivi acquisirono anche le cittadinanze germaniche, austriache o francesi. In Svizzera, però, la naturalizzazione degli jenisch non portò in alcun modo all’accettazione del loro stile di vita nomade. Con l’acquisizione della cittadinanza seguiva l’obbligo alla sedentarizzazione. Alla popolazione però la concessione della cittadinanza svizzera agli jenisch continuava a non piacere, portando alla marginalizzazione degli zingari. Gli jenisch sono nomadi, si spostano e questa loro peculiarità non è mai stata accettata. E il motivo è semplice: la sedentarietà facilita il controllo dello stato sulla popolazione, il nomadismo lo limita».


Questo accadeva nel 1800, ma fino a 40 anni fa la vita per gli jenisch in Svizzera è stata altrettanto tribolata e macchiata da gravi colpe anche da parte dello stato…
«Parliamoci chiaro: il nomadismo è sempre stata considerata una forma di movimento sospetta perché fuori dalla norma generale. È vero per gli jenisch non è stato facile. Nel 1900 venne stabilito il decreto d’espulsione per coloro che non potevano fare valere il diritto di cittadinanza. Questo ha significato espulsioni anche durante le due guerre mondiali in territori sotto il tiro incrociato. Il decreto non è mai stato rimesso in discussione dalla Svizzera, che solo agli inizi del 1970 e su pressione degli stati confinanti lo ha abolito. Poi c’è la pagina storica tragica legata al programma “Bambini della strada” di Pro Juventute e avallato dalle autorità. Durato dal 1926 al 1973 è stato il tentativo, in parte riuscito, di cancellare la cultura jenisch. Il programma, fondato su teorie pseudo-scientifiche che legittimavano l’assimilazione forzata degli zingari svizzeri ai sedentari, è stato condotto con violenza fisica e psicologica».


In che modo oggi si manifestano le discriminazioni?
«Agli zingari sono legati molti pregiudizi fra cui che rubano, sporcano e non hanno rispetto per le proprietà. Gli stereotipi nascono anche da una confusione sui vari ceppi di zingari che si muovono tutti con modalità differente anche in rapporto alla propria cultura di appartenenza. I rom, ad esempio, è vero che possono lasciare sporchi i campi pubblici. Il loro è un messaggio chiaro: “Voi non ci piacete, per questo e quest’altro, e ve le dimostriamo”. Gli jenisch invece hanno un altro atteggiamento, avendo assimilato i principi della convivenza del loro paese. Sono svizzeri, lavorano, si comportano correttamente ed è un loro diritto, difeso dalla Costituzione, reclamare le aree di sosta che corrispondono ai loro bisogni primari: personali e professionali per potersi spostare dai clienti che hanno nei vari cantoni. Persiste una larga fascia della popolazione locale che continua a reagire negativamente per paura rispetto a chi vive in modo diverso dal suo. La disinformazione non fa che radicalizzare le ostilità. Quante volte mi sono sentita ripetere “e io con le mie tasse dovrei pagare i loro campeggi?”. Anche gli jenisch pagano le tasse contribuendo a finanziare i servizi a favore dell’intera collettività. È come se qualcuno ci dicesse, come purtroppo accade, “e noi dobbiamo pagare palate di soldi per la televisione e la radio di una regione linguistica con un bacino di 330 mila abitanti?”».

Già. C’è sempre un diverso e un altro ancora che cerca di accusare un terzo di essere più diverso di lui.

 

 

 

Pubblicato il

02.07.2015 20:56
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