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Scuola e impegno sindacale
di
Ferruccio Marcoli
Sono trascorsi due anni da quando in un’intervista su «area» sostenevo che abbiamo una scuola dell’obbligo che eccede nel dare. In quel tempo pretendevo che la scuola (in special modo la media) è sottomessa a una cultura obesa che, volendo figli a sua immagine e somiglianza, dà loro troppo rispetto a quello di cui essi hanno effettivamente bisogno e che riescono a digerire. Da allora, in tema di scuola, sono successe molte cose: in primis, la madre di tutte le vittorie nella lotta contro il finanziamento delle scuole private da parte dello Stato. Benissimo. Rimane il fatto che i problemi sono sempre gli stessi con un’istituzione scuola pubblica fortemente condizionata da vincoli burocratici (che impregnano la struttura dei programmi) in modo tale che anche il docente con le migliori intenzioni finisce con il ridursi all’interno di precisi e troppo angusti argini. Passata la bufera della scelta politica di fondo, continuo pertanto a sostenere oggi come due anni fa, che c’è una grossa responsabilità anche sindacale nel modo in cui la scuola è strutturata. Nella logica attuale i docenti sono imprigionati dalle griglie orarie e (salvo lodevolissime eccezioni) l’azione prevalente è quella di difendere la quantità delle ore di insegnamento. I sindacati dovrebbero invece svincolarsi dalla logica di una scuola quantitativa per affrontare la rivoluzione di una scuola più educativa, libera dell’eredità oramai sorpassata della specializzazione. Se non lo faranno si renderanno complici dei deterioramenti (in special modo morali) già in atto. La mia posizione di due anni fa suscitò una minima discussione e qualche polemica. Mi si rimproverò di non aver considerato il «momento politico» e di aver portato acqua al mulino dei sostenitori del finanziamento della scuola privata. Dopo un vivace confronto con Mario Biscossa (presidente del sindacato docenti) presi atto delle «obiezioni politiche» e, benché sollecitato da più parti a intervenire sulla questione scuole pubbliche-scuole private, rinunciai a farlo per non essere frainteso e strumentalizzato. Un piccolo punto mi stava però a cuore: quello delle lezioni private pagate dai genitori ai figli in difficoltà. Mi premeva perlomeno portare l’attenzione sulla singolare «scuola privata d’accatto» generata dalle disfunzioni della scuola dell’obbligo di Stato con la complicità dei genitori: una scuola (di fatto) privata remunerata «in nero» costituita dall’incontrollabile armata Brancaleone dei docenti di vario genere e provenienza in cerca di arrotondamenti di stipendio. In merito Biscossa mi fece avere una bozza di mozione che avrebbe dovuto essere presentata in Gran consiglio per indagare sull’argomento. Sono trascorsi due anni e non ne ho più saputo nulla.
Pubblicato il
14.09.01
Edizione cartacea
Anno IV numero 27
Rubrica
Psicologia
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