Signori, pubblicità! «The show must go on». 24 settembre, il Corriere della Sera dedica 13 pagine di analisi alla cronaca e alle ricadute dell’attacco agli Usa. Nel paginone doppio centrale: sala d’attesa deserta di un aeroporto, una bella donna avvolta in pizzi preziosi scruta con lo sguardo preoccupato al di là del vetro. La ditta fabbrica biancheria intima e affini, roba di gran classe.
Nel supplemento «Io donna» si alternano le foto di un reportage sui disastri del mondo e le pagine pubblicitarie. A sinistra una donna afgana imbacuccata nei suoi veli che cuoce il pane accanto a una vecchia mutilata dal ginocchio in giù, a destra una modella ci guarda duro stretta in un corpetto di pelle nera senza spalline. Giro pagina: a sinistra protesi e stampelle in un ospedale kossovaro, a destra dettagli di un abito da «grande soirée»; pagina seguente: un insegnante africano con una gamba sola tiene lezione a una classe di bambini seduti a terra. Accanto: modella scapigliata dallo sguardo assassino in abito attillato nero con grande spacco centrale, calze nere a maglia larga sulle gambe (larghe anche quelle) e guanto di pelle con borchie. Agghiacciante nella sua involontaria allusione anche la rivistina patinata che ci arriva con gli estratti-conto della carta di credito: due giovani coppie ridono a bocca spalancata sotto lucenti grattacieli.
In mezzo alle agghiaccianti inquadrature di quei giorni, le immagini della pubblicità hanno continuato a vivere di vita propria, in barba a tutto, o addirittura svelando un’anima «sciacalla».
«Sono crollate le torri gemelle» annunciavano i conduttori dei talk show. Poi affranti aggiungevano: «spazio ora ai consigli per gli acquisti». Le immagini dell’11 settembre surclassano anche le stragi «in casa» come quella di Zugo, poco esplorata dagli obbiettivi e dalla telecamere e quindi quasi inesistente dal punto di vista spettacolare. Ma dove siamo? La domanda che ci nasce dentro vive lo spazio di un attimo e poi svanisce. Con la capacità di digerire tutto in tempi rapidi nonostante (o forse proprio per) le continue overdose di immagini e informazioni; abituati da anni a sentire notizie di catastrofi, di guerre a poche migliaia di chilometri di distanza, di milioni di profughi ammassati nei campi mentre pranziamo... digeriremo anche questa. L’abbiamo magari già digerita, insieme a una forchettata di salmì (è stagione!) e a un bicchiere di vino buono. O ci è rimasta lì? Ci farà sentire il suo gusto amaro quando meno ce l’aspettiamo, magari davanti a immagini fino a ieri «innocenti» di grattacieli e aeroplani, di colpo investite di un tragico valore aggiunto? Il regista tedesco Wim Wenders ha detto che l’11 settembre cambierà il modo di fare cinema, il filone catastrofista è al capolinea. Superato dalla realtà. Di certo, nessuna immagine è più innocente. Ma chissà se cucinata a dovere non serva a far vendere di più? |