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Scocca la scintilla antisemita

Antisemitismo. Non si pronuncia apertamente quella parola che mai si sarebbe pensato avrebbe potuto rimbalzare in un piccolo centro svizzero qual è Lugano. Gli incendi di natura dolosa appiccati nella notte tra domenica e lunedì alla Sinagoga e al commercio “Al buon mercato” gestito da una famiglia di religione ebraica, non portano sigle ufficiali di antisemitismo (le indagini al momento in cui andiamo in stampa sono ancora in corso) ma nessuno crede alla coincidenza. Per la stessa Comunità israelita luganese è difficile credere che ci siano persone che non esitano a colpire il loro cuore e i loro simboli, a seminare lo sgomento e la paura, utilizzando metodi funesti, scintille prodromi della memoria dell’orrore. Intanto si moltiplicano gli attestati di solidarietà alla Comunità ebraica luganese (fra cui quello della Commissione federale contro il razzismo) e di condanna per il “vile atto”. Ieri sera il Municipio di Lugano e le comunità religiose ticinesi hanno organizzato una marcia di protesta e di solidarietà cui ha aderito fra gli altri il Partito socialista. Per domencia invece il Centro sociale il Molino invita la popolazione a partecipare al “presidio contro ogni razzismo” organizzato alle 16 in Piazza Molino Nuovo a Lugano. Noi in questa pagina vi proponiamo l’intervista a Hans Stutz, il più autorevole esperto della scena estremista svizzera, alcuni commenti raccolti all’indomani degli attacchi e le considerazioni di un giovane ebreo luganese. Hans Stutz, lei è l’esperto più autorevole della scena estremista svizzera e da dieci anni cura la Cronologia degli atti di razzismo. È rimasto sorpreso dall’attacco alla sinagoga di Lugano e al negozio “Al buon mercato”? Sì, molto, e per diverse ragioni. Intanto perché in Ticino la scena dell’estrema destra è poco presente e a quel che mi risulta non è organizzata. E non ci sono neppure motivi per credere che gli attentati possano essere stati perpetrati da persone che non appartengono a questa scena, penso ad esempio a eventuali gruppi islamisti che in Ticino non sono presenti. Lei tende dunque ad escludere che gli autori possano avere una matrice politica di sinistra. Teoricamente potrebbero essere anche di sinistra, ma è estremamente improbabile. Per il semplice motivo che se si trattasse di militanti di sinistra dirigerebbero i loro attacchi contro simboli o proprietà dello Stato di Israele e renderebbero riconoscibile il loro gesto in quanto atto politico. L’estrema sinistra fa una distinzione chiara fra politica di Israele ed ebrei in quanto comunità religiosa. Per questo considero completamente fuorvianti le affermazioni di Elio Bollag alla “Berner Zeitung” quando attribuisce i due attacchi incendiari ad estremisti di sinistra, definendoli “atti di antisemitismo politico, di quella sinistra che non ci piace”. Per la Svizzera quelli di Lugano sono fatti gravi? Certamente. Che io sappia dal 1900 ad oggi non c’è stato in Svizzera nessun attacco incendiario di sinagoghe, è il primo atto del genere in assoluto. Soltanto nel 1933 c’erano stati alcuni danneggiamenti all’interno della sinagoga di Lucerna, e nel 1936 era stato lanciato un petardo nella sinagoga di Zurigo. Poi c’erano stati incidenti minori, come scritte sui muri o vetri infranti, ma nulla più. L’incendio alla sinagoga di Lugano è quindi il più grave attentato in assoluto contro un luogo di culto della comunità ebraica in Svizzera da oltre cent’anni, e a renderlo ancora più grave c’è il fatto che contemporaneamente è stato bruciato il negozio di proprietà di una famiglia ebrea, quasi che gli autori del gesto volessero che la firma fosse ben chiara e la matrice antisemita del loro atto inconfondibile. Si tratta in ogni caso di azioni ben mirate. In Ticino si esita molto a parlare di atti antisemiti. Eppure, come dice lei, la firma è inconfondibile. Perché c’è questa ritrosia nel chiamare le cose con il loro nome? Questo dipende dal fatto che in Svizzera c’è ancora molta gente, soprattutto di area borghese, che non vuole ammettere che nel nostro paese vi siano del razzismo e dell’antisemitismo. Per questo si cerca in tutti i modi di evitare di usare il termine antisemitismo. Nella stessa direzione va anche Dick Marty, che nel “Blick” ha scritto che non possono essere stati dei ticinesi a perpetrare questi atti. Una simile affermazione per me è semplicemente stupida. Negli ultimi anni c’è una tendenza all’aumento dell’antisemitismo? No. Direi anzi che negli ultimi 3-4 anni l’antisemitismo s’è piuttosto calmato: c’è sempre, ma è rimasto latente, non s’è più manifestato pubblicamente in maniera dirompente. Nel 1997 c’era stata un’impennata di azioni pubbliche di stampo antisemita subito dopo le dichiarazioni dell’allora consigliere federale Jean-Pascal Delamuraz, che in relazione alla questione degli averi delle vittime dell’Olocausto depositati nelle banche svizzere aveva parlato di “ricatto” degli ambienti ebraici verso la Svizzera. Poi le cose s’erano progressivamente calmate, e da quando era stato raggiunto un accordo globale sui risarcimenti non v’erano più stati segnali preoccupanti. Fino agli attentati incendiari di Lugano. C’erano state tuttalpiù affermazioni di stampo antisemita nel contesto del dibattito sul conflitto israelo-palestinese, ma erano rare. Ci sono persone che sono “soltanto” antisemite, o questa attitudine si accompagna sempre al razzismo e alla xenofobia? È difficile dirlo. Di certo ci sono persone che prima di tutto e soprattutto sono antisemite. Che poi detestino anche i neri o gli zingari è per loro secondario. Sono in prevalenza persone di destra, ma non necessariamente estremisti di destra. E possono essere tanto giovani quanto anziani. «Non mi ha sorpreso: prima o poi doveva capitare.» Pacato, con un filo di amarezza, Jan* non vuole che il suo nome venga fuori ma accetta di esprimere in un momento così delicato le sue considerazioni sugli incendi alla sinagoga e al negozio “Al buon mercato” di Lugano. «Non per timore – dice – , semplicemente perché voglio continuare a vivere nella mia quotidiana anonima normalità». Luganese, sulla trentina, lui è uno dei pochi giovani della Comunità israelita luganese rimasti in Ticino, quando la maggior parte dei suoi coetanei sono andati via (due sue sorelle sono in Israele). È praticante ma non porta i “Pe’ot” (i tradizionali boccoli degli ortodossi). «Negli anni la nostra comunità – afferma – si è assottigliata a tal punto che ora in tutto il Ticino siamo rimasti in circa 350, perfettamente integrati e senza alcun attrito con nessuno. Per questo mi stupisce che sia successo qui. Per il resto me l’aspettavo». Una frase che sembra contrastare con le parole prudenti degli altri esponenti della Comunità israelita. E Jan vuole spiegarsi meglio: «Sono persuaso – afferma – che certa e continua campagna diffamatoria perpetrata da quei media che assimilano le vicende israeliane a tutte le persone di religione ebrea non possa che fomentare l’odio contro di noi. Il fatto che si continui a dare degli ebrei un’immagine fatta di stereotipi mi ha portato a pensare che prima o poi qualcosa di brutto ci sarebbe potuto accadere». No, non teme che questo sentimento antisemita continui a serpeggiare. «Le sembrerà paradossale se le dico che spero si manifesti». Ci spera? Gli chiediamo disorientati dall’affermazione. «Il sentimento antisemita – continua – ci ha sempre accompagnati ovunque andassimo. Ma va bene così: ogni volta che ci colpiscono, ci ricordiamo di essere ebrei e delle nostre radici e l’ebraismo risorge ancora più forte di prima. Spinoza che era ebreo diceva: se volete riuscire a distruggere l’ebraismo fatevi amici degli ebrei perché se invece li attaccherete loro si compatteranno e si fortificheranno. È chiaro, mi piacerebbe che così non fosse ma è la storia che si ripete. Siamo in una società dove una persona di colore è un “negro”, dove uno vestito di nero con un cappello è comunque un “ebreo” anche se poi magari è un mormone. Siamo guidati dalla diffidenza verso tutto ciò che per noi è “diverso”. Se poi a tutto questo aggiunge il fatto che quasi giornalmente i media continuano a riferire dell’esercito israeliano come dell’ “esercito ebreo con la stella di David”, cosa vuole che la gente poi ci dia le pacche sulle spalle?». Insomma tutti i mali vengono dai media. «Non dico questo ma temo – dice – che siano in pochi a volersi veramente informare. La maggior parte parla per sentito dire su quanto sta accadendo in Israele e Palestina: sono due popoli che stanno soffrendo, non uno solo. Purtroppo però quando si parla di ebrei – siano essi per la pace o per la guerra – si parla solo di occupanti. Ed è questo l’unico concetto che qui si fa strada. Non c’è allora da stupirsi se poi diventiamo bersagli dell’odio e se accade ciò che è accaduto a Lugano». Lugano, il giorno dopo. Vaga con gli occhi increduli la signora Canonica, e guarda il fantasma annerito di quel negozio nel quale ha lavorato per 52 anni, il “Al buon mercato”, in Corso Pestalozzi a Lugano, un emporio di stoffe e capi d’abbigliamento esistente da quasi novant’anni. Dall’interno l’odore nauseabondo delle merci bruciate toglie il respiro. «C’è tristezza e sconcerto – dice la signora Canonica con un groppo alla gola – perché una cosa così non l’avevo mai vista e mai avrei pensato di doverla vedere». La cosa così sono i due incendi appiccati nel cuore della notte tra domenica e lunedì scorso alla sinagoga di via Maderno e “Al buon mercato”, gestito dalla famiglia Rubinfeld. «Senta – continua la signora Canonica – io non sono molto religiosa e non sono ebrea ma questo atto mi spaventa. Lo so che a livello ufficiale nessuno parla di antisemitismo, ma io personalmente qualche dubbio ce l’ho e non credo a puri atti di vandalismo. La paura è che in una città come la nostra ci sia chi dalle parole e pensieri di odio passi ai fatti. Questa è cattiveria pura, hanno colpito delle persone buonissime (i titolari, ndr) che se possono far del bene lo fanno. Lo ripeto: fa paura pensare al perché di questo atto di odio. Se dovessero appurare che non si è trattato di un atto di vandalismo, ecco che ritorna strisciante la parola di cui ho orrore, “antisemitismo”». Qualche isolato più a nord, in via Maderno, nel pomeriggio di lunedì la sinagoga sembra immersa nella solita discrezione e tranquillità di sempre. Il via vai dei cronisti, delle persone giunte a portare la propria solidarietà, s’è acquietato per un momento ma da una porta laterale si scorgono delle figure: sono gli assicuratori giunti per la loro perizia, e due membri della comunità israelita. Da lì sale un’acre puzza di bruciato, la sala-biblioteca dove gli ebrei ortodossi si recano per studiare e pregare durante la settimana e per il culto il sabato è annerita dal fumo e dalla fuligine. I danni al retro della Sinagoga, dicono due rappresentanti della comunità, non sono ingenti ma i segni sono visibili e inquietano. Nessuno si sbilancia sulla matrice del gesto, le indagini sono in corso e la stessa comunità ebraica è prudente nel rilasciare dichiarazioni. «Certo siamo preoccupati – ci dice un membro della comunità ebraica – e sgomenti ma sul perché di questi incendi attendiamo i risultati dell’inchiesta in corso.» Sulla matrice antisemita del gesto, il rappresentante della comunità persiste sul versante della prudenza: «È una ben strana coincidenza e la logica ci spinge a prendere in considerazione anche questa ipotesi. Ma tanto più si pensa al contesto in cui gli atti sono stati compiuti tanto più questi appaiono inconcepibili. La nostra è una piccola comunità, in totale contiamo circa venticinque famiglie, non ci siamo mai esposti e abbiamo sempre condotto una vita tranquilla. Ci sono pochi giovani perché i più sono partiti e la maggior parte di noi sono persone di mezz’età che vivono nei migliori rapporti con la comunità luganese, rispettando le religioni e le idee altrui. Siamo nati qui d'altronde e siamo qui da generazioni. In passato, qualche atto di poco conto c’è stato: qualche sasso sulle finestre, qualche svastica sui muri a cui non si è dato molta importanza. No, mai ci saremmo aspettati un atto di questa gravità. Un atto di fronte al quale la cittadinanza ha reagito con fermezza, sono infatti numerosi gli attestati di solidarietà giunti dalle istituzioni e dai singoli cittadini, hanno portato mazzi di fiori e qualcuno anche una bandiera della pace. E noi vogliamo vivere nella pace.» Intanto si affaccia alla porta un signore anziano e dagli occhi vivaci. Anche lui si è avvicinato alla sinagoga per capire cos’è successo, per parlare con i membri della comunità religiosa. «È assurdo – ci dice il signor Elstein, dottore in chimica – pensare a gesti del genere qui. La comunità ebraica luganese è sparuta, non ha mai fatto o detto niente per attirare l’attenzione. E tutto ciò è semplicemente assurdo ma credo che questi atti vandalici rimarranno isolati. Io nei miei 85 anni ho vissuto in prima persona la Shoah e ho visto e sopportato tutto ciò che un essere spera di non vedere e sopportare mai nella sua vita. Sono nato in Lituania e sono stato rinchiuso nel campo di sterminio della città di Kaunas (vicino a Vilnius) nel 1941 all’arrivo dei tedeschi. Vivo qui da 30 anni, sono un ebreo non praticante, un uomo che ha pagato un caro prezzo per le sue radici religiose e che crede che solo attraverso il dialogo e la conoscenza si può neutralizzare l’odio, figlio dell’ignoranza e del non ascolto.»

Pubblicato il

18.03.2005 01:00
Gianfranco Helbling
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