Scienza e tecnica al femminile

“Cosa farò da grande? Una volta finita la scuola seguirò l’apprendistato di parrucchiera o quello di sarta. L’informatica? No grazie, non mi piace e poi forse non sarei neppure capace…”. La maggior parte delle ragazze una volta terminata la scuola dell’obbligo sceglie di seguire la “tradizione”. Tradizione che le porta a prediligere professioni legate alla moda, alla cura della persona, al commercio, alla salute e all’educazione limitando così il loro ventaglio di possibilità. E non sono luoghi comuni, ma statistiche ufficiali. Ma perché la maggior parte di loro è reticente alla scelta di professioni a carattere tecnico? Dove finiscono le “pari-opportunità”? L’abbiamo chiesto ad Elena Mock – esperta in scienza dell’educazione e docente presso l’Istituto svizzero di pedagogia per la formazione professionale (Ispfp) – che ha seguito l’esperienza pilota in Ticino di una classe di sole “informatiche”. Dal 1999 si è infatti creato alla scuola Arti e Mestieri di Trevano un ciclo di studi che cerca di adattare l’insegnamento delle materie scientifico-tecniche alle ragazze (vedi anche area n.24 del 2003). Elena Mock lei ha avuto modo di seguire con l’occhio della ricercatrice un corso di formazione tecnica dedicata esclusivamente a ragazze. Cosa è particolarmente bloccante per loro nella scienza? Sono partita da un’esperienza pratica. Il mio ruolo era quello di accompagnare e aiutare i docenti di questo particolare percorso formativo. La cosa che mi ha colpita di più è che una grande importanza è rivestita dall’insegnamento. Innanzitutto i docenti di materie scientifiche sono quasi sempre uomini e questo è già un fattore di identificazione negativa per la donna. Se le docenti insegnano prevalentemente lingue la ragazza tende a identificarsi con questo modello (effetto pigmalione). Ma anche sul contenuto ci sono aspetti interessanti. Prendiamo gli esercizi delle materie tecnico-scientifiche. Sono buoni esempi di didattica rivolta al mondo maschile: “A Mauro si ferma la moto” è utile a stimolare la curiosità di un ragazzo ma non certamente quella di una ragazza. A questi fattori didattici vanno certamente aggiunti anche quelli socioculturali (vedi anche articolo sotto, ndr). “Perché dovrei studiare informatica se poi non trovo lavoro in quanto donna?” non è una domanda fuori luogo. Ma la reticenza delle ragazze verso la tecnologia non è dovuta ad atteggiamenti peculiari alla donna. Ci può fare degli esempi? Molte ragazze a parità di risultati nelle materie scientifiche hanno meno fiducia in sé stesse per rapporto agli uomini. È un dato che emerge chiaramente dalle ricerche condotte in questo campo. Mi è capitato di fare i complimenti ad una ragazza per una buona nota in matematica e lei mi ha risposto “sa, ce l’ho fatta per puro caso…”. Sono condizionamenti della società e della cultura un po’ maschile. Sono rimasta stupita nel vedere che molte ragazze negano l’esistenza di queste differenze, forse è una mancanza di presa di coscienza. Alcune di loro non si sono rese conto che hanno potuto e voluto scegliere la loro formazione di informatica anche perché è stato creato un corso ad hoc per loro. Perché le ragazze dovrebbero seguire una formazione tecnica? Si tratta a mio avviso di aprire al mondo femminile nuove prospettive professionali che non si esauriscono nel solito apprendistato di venditrice o parrucchiera. Ci sono molti osservatori che dicono che il divario tecnologico gioca sempre più un ruolo importante nelle possibilità di inserimento e di guadagno professionale. Il computer è nato neutro ma è presto diventato uno strumento tipicamente maschile. Bisogna reagire a questi gap per tempo se non si vuole peggiorare le possibilità per le donne. Il progetto pilota di Trevano terminerà fra 3-4 anni. Cosa resterà di questa esperienza? Soprattutto la consapevolezza che l’insegnamento scientifico deve essere più attento al mondo femminile. Ho notato che le ragazze che si sono diplomate vedono nella tecnologia innanzitutto uno strumento. Interessa loro non in quanto strumento tecnico ma per l’utilizzo che ne possono fare. È un buon indizio per capire come proporre alle ragazze la scienza. Quindi classi di sole ragazze? No, non credo che possa essere una soluzione anche se alcuni autori svizzeri l’hanno indicata come una possibile via per avvicinare il mondo femminile alla tecnologia. Una volta finita la formazione le ragazze si troveranno a confrontarsi col mondo reale. Sono i modelli culturali che devono cambiare e l’insegnamento può dare il suo contributo. Il cervello sconosciuto Cosa differenzia la donna dall’uomo nella scelta professionale? Una domanda “da un milione di dollari” alla quale hanno cercato di dare risposta parecchi studiosi. Elena Mock, esperta in scienza dell’educazione presso l’Istituto svizzero di pedagogia per la formazione professionale (Ispfp), ci spiega che le ricerche finora condotte in questo campo hanno cercato di spiegare la diversità attraverso tre differenti approcci: psicologico, sociologico e il più controverso, quello biologico. In cosa consistono e a quali risultati portano? Nella conferenza mondiale sulle donne dell’Organizzazione delle nazioni unite (Onu) – tenutasi a Pechino nel 1995 – si è evidenziato come l’accesso alle carriere a carattere tecnico-scientifico nei paesi occidentali riguarda ben due terzi degli uomini e solo un terzo delle donne. Una differenza davvero notevole che alcuni ricercatori hanno cercato di ricondurre alla sfera privata dell’individuo, quella psicologica. In questo caso è la persona stessa che nell’età dell’adolescenza si appropria degli stereotipi culturali legati al proprio genere (il sesso ma anche altre caratteristiche come classe sociale o razza), integrandoli come caratteri distintivi della propria identità. È così che la ragazza si identifica più o meno coscientemente nel mestiere di parrucchiera o sarta o maestra di lingue mentre i ragazzi si indirizzano verso mestieri più tecnici e generalmente meglio pagati. Ma se da una parte è la persona stessa che si appropria dello stereotipo “di genere” dall’altra ci sono tutti gli aspetti sociali che ne condizionano le scelte. Il grosso scalino in questo caso, come evidenzia anche Elena Mock dalla ricerca che ha svolto in questo ambito (vedi articolo sopra), è dovuto alla scuola che, soprattutto in campo tecnico, veicola la conoscenza con esempi e applicazioni tipiche del mondo maschile. Lo scienziato è uomo, uomo razionale, mentre la creatività è donna. Un pensiero che sembra grossolano ma che invece si ritrova nell’immaginario collettivo. Diversi studi hanno mostrato inoltre come a livello di interazione sociale la scuola non è affatto neutra. Gli allievi di sesso maschile ricevono infatti maggiore attenzione e riscontro da parte degli insegnanti. Questo, a detta dei ricercatori, spiegherebbe anche il motivo per il quale a parità di risultati le ragazze dimostrano una minore fiducia in sé per rapporto ai propri coetanei. Una terza via, molto più controversa ma anche affascinante, per spiegare la diversità fra i generi parte dall’anatomia. Gli scienziati – sia uomini che donne – non hanno dubbi sul fatto che ci sia un cervello femminile e uno maschile, ciascuno con le proprie specifiche caratteristiche che fanno sì che comportamenti e attitudini – e quindi forse scelte professionali – siano decisamente diversi nei due sessi. Mentre nel sesso femminile sembrano prevalere le capacità verbali, nel sesso maschile sarebbero più spiccate quelle visuospaziali. Cosicché anche la proverbiale “lingua” delle donne trova radici nel cervello femminile che attiva prima e in maniera più fine le aree cerebrali deputate all’uso del linguaggio. Il risultato è che le capacità linguistiche delle donne sono generalmente più sviluppate di quelle degli uomini, sia per velocità che fluidità ma anche per abilità verbale e padronanza grammaticale. Non è un luogo comune neppure il fatto che gli uomini in genere hanno maggiori capacità di orientarsi. Mentre le donne utilizzano punti di riferimento per ritrovarsi gli uomini sarebbero più efficaci nel costruirsi una mappa mentale più ricca dello spazio che li circonda. Ci sono quindi innegabili differenze biologiche che portano le donne ad utilizzare entrambi gli emisferi cerebrali per qualsiasi compito o azione stiano svolgendo mentre gli uomini ad attivarne uno alla volta secondo i casi. L’anatomia non influenza comunque le prestazioni, precisano gli esperti. «Sul fatto che uomo e donna siano diversi non c’è discussione – ci ha detto Elena Mock –, ma non sono sicuramente queste diversità che possono spiegare i pregiudizi della società sulle capacità femminili. Una società a senso unico che al posto di sfruttare la ricchezza di differenti approcci ad uno stesso problema dei due sessi ne predilige uno solo, quello maschile, ritenendolo a priori più produttivo. Personalmente credo che la difficoltà delle donne ad accedere alle professioni tecnico-scientifiche è soprattutto dovuta ad una condizione culturale. In questo senso credo che alla diversità uomo-donna concorrano tutti e tre gli aspetti e che non si possa ricondurre unicamente a una differenza biologica».

Pubblicato il

01.10.2004 01:00
Can Tutumlu