Schröder divorzia dalle imprese

«Le imprese di questo Paese hanno ricevuto ogni genere di agevolazione, ora è tempo che si facciano carico delle proprie responsabilità e contribuiscano alla creazione di nuovi posti di lavoro». A lanciare recentemente questo appello non sono stati né Lula, né Chavez, bensì Gerhard Schröder, il cancelliere più filopadronale che la storia della socialdemocrazia tedesca ricordi. E questo mentre il Ticino alle prese con l’iniziativa “I soldi ci sono” – che vuole aumentare l’imposizione delle persone giuridiche – inneggia al virtuosismo fiscale concesso alle imprese dal governo tedesco. Se Schröder ha osato tanto nei confronti di chi finora ha sempre favorito in modo sfacciato, allora vuol dire che le cose stanno mettendosi davvero male per la maggioranza rosso-verde ed il suo cancelliere. Con oltre cinque milioni di disoccupati, un’economia che stenta a rilanciarsi e una collezione di batoste elettorali (ultima in ordine di tempo quella in Schleswig-Holstein), la coalizione guidata da Schröder sta imbarcando acqua da tutte le parti. Se nel prossimo mese di maggio l’Spd perderà anche il Nord Reno-Vestfalia, il Land più popoloso della Germania e storica roccaforte della socialdemocrazia, per lo Schröder bis potrebbe significare addirittura la fine anticipata. Inoltre il cancelliere non può nemmeno contare sulla popolarità del suo vice, il ministro degli Esteri, Joska Fischer, il cui astro, almeno per il momento, ha smesso di brillare. Il leader dei Verdi, che nel 2002 aveva contribuito notevolmente alla riconferma della coalizione di centrosinistra, rischia, infatti, il suo mandato a causa dello scandalo dei visti facili concessi dal suo dicastero all’Ucraina ed usati in passato dal crimine organizzato per avviare migliaia di persone al lavoro nero e alla prostituzione in Germania. Alla lunga serie di sconfitte nelle elezioni amministrative, e perfino ai guai di Fischer, si potrebbe anche porre rimedio, se solo la ripresa economica fosse più veloce e la marea di disoccupati cominciasse, anche solo timidamente, a calare. Nell’infuocata campagna elettorale del 2002, infatti, Schröder aveva promesso solennemente agli elettori un aumento dei posti di lavoro. «Misurerete il mio successo in base ai dati sulla disoccupazione» aveva affermato pochi giorni prima del voto. Non mantenere quella promessa – nonostante tutte le attenuanti date dalla recessione mondiale – per Schröder significherebbe consegnare le chiavi della cancelleria nelle mani di Angela Merkel, leader della Cdu. Dal 2002 ad oggi la disoccupazione, però, invece che diminuire, è aumentata notevolmente, toccando vette mai raggiunte in tutto il secondo dopoguerra. Eppure l’economia tedesca non va così male come l’opposizione conservatrice e le associazioni imprenditoriali vorrebbero far credere. A risentire della crisi economica sono soprattutto le piccole e medie imprese senza agganci internazionali, mentre le grandi aziende tedesche, come la Siemens, buona parte delle case automobilistiche ed i gruppi finanziari e assicurativi come la Deutsche Bank o la Allianz fanno registrare profitti da sogno. Le esportazioni vanno ancora fortissimo, come ai tempi in cui la Germania era la locomotiva economica d’Europa. Dai colossi del mercato tedesco e internazionale sarebbe quindi lecito aspettarsi più posti di lavoro. Invece no. La Deutsche Bank, a fronte di un profitto di quasi il 20 per cento in più nel 2004, ha annunciato il taglio di 6 mila posti di lavoro ed il gruppo Allianz, che ha triplicato il suo attivo rispetto all’anno precedente, ha fatto sapere che oltre 10 mila lavoratori sono da considerarsi “esuberi”. Sono solo i due casi più eclatanti, ma l’elenco delle imprese coi bilanci in attivo che licenziano i propri dipendenti è molto lungo e riguarda oltre la metà delle grandi aziende tedesche. Da qui la rabbia del cancelliere Schröder che dal 1998, e poi soprattutto in questa seconda legislatura, non ha fatto altro che venire incontro alle imprese. Dalla drastica riduzione delle tasse (il ministro dell’economia, Wolfgang Clement, avrebbe addirittura in mente ulteriori sgravi fiscali), alla maggiore facilità con cui ora i datori di lavoro possono licenziare, fino alla possibilità di non applicare i contratti nazionali, Schröder non ha lasciato nulla di intentato pur di ingraziarsi gli imprenditori e di attirare nuovi investitori. Purtroppo per lui – e soprattutto per i lavoratori – le grandi aziende hanno incassato i regali e hanno continuato ad applicare la loro fredda, ignobile logica. Sono 8 milioni i senza lavoro All’inizio di ogni mese l’Agenzia federale del lavoro di Norimberga aggiorna il dato relativo alla disoccupazione in Germania. Ogni volta, da oltre due anni a questa parte, la conferenza stampa del direttore dell’Agenzia si trasforma in un bollettino di guerra per il governo del cancelliere Gerhard Schröder. A partire dallo scorso mese di novembre, poi, il numero dei senza lavoro ha superato il livello di guardia dei cinque milioni: una cifra che, se anche di poco più elevata rispetto al dato dei mesi precedenti, da un punto di vista psicologico ha effetti devastanti. In gennaio e febbraio il numero dei disoccupati ha fatto registrare nuovi drammatici record: dal 1945 – dicono gli esperti di statistica – in Germania non si erano mai viste tante persone senza lavoro. In marzo il dato è migliorato di un po’, grazie soprattutto all’arrivo della primavera e alla riapertura di molti cantieri edili, ma il numero dei disoccupati non è ancora ritornato sotto i cinque milioni. La statistica differenzia decisamente tra le diverse regioni tedesche. Se, infatti, nei Länder occidentali la percentuale media dei disoccupati è del 10,3 per cento, nella ex Ddr il dato si impenna al 20,7 per cento. In Baviera e Baden-Württemberg la disoccupazione non supera il 6 per cento, mentre molte zone della Sassonia-Anhalt e del Brandeburgo sfiorano il 30 per cento. In realtà queste cifre sono solo una parte della verità. Secondo molti analisti del mercato del lavoro, il numero dei disoccupati in Germania è di molto superiore alle cifre diffuse dall’Agenzia federale. Se si calcolano, infatti, anche i tanti disoccupati di lunga durata che il lavoro non lo cercano più da anni, il gran numero di prepensionamenti nell’ambito delle ristrutturazioni aziendali e i tanti disoccupati impegnati temporaneamente nei corsi di aggiornamento e trasformazione professionale offerti dagli uffici di collocamento, il numero reale dei senza lavoro sale addirittura ad otto milioni.

Pubblicato il

08.04.2005 03:30
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