Schmidheiny vuole comprarsi Casale

A due mesi dalla sentenza del processo Eternit di Torino che lo vede imputato per reati gravissimi che gli potrebbero costare una condanna a venti anni di carcere, il miliardario Svizzero Stephan Schmidheiny torna a sventolare banconote a Casale Monferrato, la località piemontese già sede di una delle sue "fabbriche della morte" dove l'amianto ha già ucciso quasi duemila persone tra ex lavoratori e semplici cittadini.

Accusato di disastro ambientale doloso permanente e omissione dolosa di misure anti-infortunistiche sui luoghi di lavoro, l'ex padrone della Eternit, tramite il suo legale Astolfo Di Amato, si è rifatto vivo nelle scorse settimane presso l'amministrazione comunale di Casale con una proposta di transazione, già ribattezzata "offerta del diavolo": una ventina di milioni di euro (23 milioni franchi) al Comune purché si ritiri come parte civile dal processo in corso a Torino e rinunci ad avanzare pretese risarcitorie nei prevedibili successivi gradi di giudizio (Appello e Cassazione) e in eventuali procedimenti futuri.
Questa ennesima mossa a sorpresa dello svizzero sta suscitando una reazione corale di sdegno tra i cittadini di Casale Monferrato, quasi increduli di fronte a tanto disprezzo per il valore della vita e a tanta mancanza di rispetto per l'immane dolore di una comunità. Una comunità confrontata quotidianamente con i drammi causati dall'amianto della fabbrica maledetta che Stephan Schmidheiny rilevò all'inizio degli anni Settanta dal gruppo belga capitanato dal barone Jean Louis De Cartier (pure lui imputato nel processo di Torino).
Gli ex operai sono ormai quasi tutti morti o ammalati ma la strage colpisce anche i cittadini comuni e prosegue a un ritmo di cinquanta nuove diagnosi di mesotelioma all'anno, che purtroppo coincide con altrettante condanne a morte.
Ma non solo: i casalesi sono pure confrontati con un territorio devastato da tonnellate di amianto lasciate in eredità dall'attività industriale della Eternit e dal comportamento criminale dei suoi dirigenti che dopo la chiusura della fabbrica nel 1986 se ne andarono lasciando tutto com'era e senza fornire, né allora né in seguito, alcun contributo alla bonifica dei siti contaminati. In particolare dal famigerato "polverino", cioè lo scarto della tornitura dei tubi in amianto che senza alcun avvertimento sulla sua pericolosità veniva regalato (o venduto per  poche centinaia di lire) ai dipendenti e ai cittadini di Casale e dei paesi limitrofi, i quali lo reimpiegavano nei modi più svariati: c'era chi lo bagnava e lo trasformava in una sorta di cemento con cui realizzare marciapiedi, vialetti, cortili, aie, campi sportivi e ogni genere di pavimentazione; altri invece, peggio ancora, lo spargevano asciutto nei solai e nei sottotetti per isolare abitazioni e condomini. Ancora oggi questo polverino è presente in centinaia di siti e si calcola che una bonifica completa alla fine potrebbe costare qualcosa come 100 milioni di euro (si veda anche il riquadro).
Il danno cagionato è insomma incalcolabile. Eppure Stephan Schmidheiny, con la sua "offerta del diavolo" di 18-20 milioni di euro (su cui non vi sarebbe alcuno spazio di trattativa, si apprende da fonti dell'autorità comunale) sembra avere la pretesa di fissare definitivamente il valore delle vite umane spezzate e di un territorio devastato che minaccia la salute anche dei bambini che nascono oggi, a venticinque anni dalla chiusura dello stabilimento Eternit.
Da parte dell'autorità comunale non è ancora stata presa alcuna decisione sul da farsi: il sindaco, precisando che la trattativa per ora è limitata a un «confronto tecnico tra avvocati», ha però già promesso che della questione sarà investito il consiglio comunale. Quando, non si sa.
Da parte sua, l'Associazione dei famigliari delle vittime dell'amianto (Afeva) chiede di essere coinvolta: «Riteniamo di averne il diritto dopo tanti anni lotta», afferma la sua carismatica presidente Romana Blasotti-Pavesi, che a causa dell'Eternit ha perso cinque famigliari (tra cui la figlia e il marito) e che oggi definisce «una vigliaccata» la mossa di Schmidheiny.
È un'iniziativa che «fa un po' specie a pochi mesi dalla fine del processo», le fa eco il coordinatore del Comitato vertenza amianto Bruno Pesce, che aggiunge: «La decisone più coerente sarebbe quella di chiedere alla controparte di aggiornare la discussione a dopo la sentenza del Tribunale di Torino» (prevista per il 13 febbraio 2012, ndr). «Visto che Stephan Schmidheiny si presenta come filantropo, gli si potrebbe chiedere di mettere da parte quei soldi e di ripresentarsi a Casale in primavera, magari dopo aver valutato anche, alla luce della decisione dei giudici, se quella somma magari andrebbe aumentata per esempio a favore delle vittime e di altri soggetti». «In questo modo -prosegue Pesce- anche noi potremmo valutare meglio se non si tratti di una proposta soltanto strumentale volta a creare scompiglio tra le vittime o a disfarsi di una parte civile importante come il comune di Casale per ottenere così qualche vantaggio processuale nel procedimento in corso, ma di un gesto dettato dalla volontà di farsi carico di una tragedia collettiva e di una situazione sociale tanto pesante come quella che viviamo a Casale». In ogni caso, conclude il nostro interlocutore, «in questo momento quella dello svizzero è una proposta che si può solo respingere».

Eredità Eternit

«Tante bombe da scovare e da disinnescare». Così ha descritto il fenomeno del polverino che ha contaminato l'ambiente casalese il dottor Angelo Mancini (per 25 anni responsabile della medicina del lavoro dell'Azienda sanitaria locale della cittadina piemontese), chiamato lo scorso marzo a deporre come testimone nel processo di Torino. Ai giudici ha descritto le condizioni in cui i padroni svizzeri hanno abbandonato lo stabilimento Eternit dopo il fallimento: «In ogni reparto di produzione abbiamo rinvenuto una gran quantità di sacchi pieni di polverino. Molti erano squarciati, aperti. I vecchi ambienti di lavoro non avevano più vetri, finestre e le porte erano aperte. Abbiamo trovato locali murati pieni di polverino. In un capannone adiacente a quello principale, bonificato e ristrutturato prima degli altri per essere riutilizzato, nel rompere un muro per ricavarvi un ingresso, si sono scoperti sacchi di polverino nelle intercapedini». «Di tutti gli scarti di lavorazione dell'amianto -ha ancora spiegato il medico- il polverino è il più pericoloso. Corrisponde alle fibre più sottili e piccole, che sono anche le più respirabili». L'Eternit non sapeva cosa farsene e allora lo regalava o lo abbandonava in discariche abusive sull'argine del fiume Po, dove i casalesi passavano con il carretto a ritirarlo. «L'azienda lo dava via e sapeva cosa dava via», ha spiegato Mancini.   

Pubblicato il

25.11.2011 01:30
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