«Life is what happens to you while you’re busy making other plans» cantava John Lennon. Proprio come il coronavirus che ha scombussolato abitudini e convinzioni nostre. Emergenza sanitaria d’un lato e stand by della macchina economica (ma non di quella finanziaria!) evidenziano pecche e difetti del modello mainstream: il capitalismo, sia a declinazione democratica, sia “del partito unico”. Tutti accomunati dallo stesso credo neoliberista: generare profitto, privatizzare, tagliare le tasse, smantellare lo Stato sociale e i servizi pubblici. Sono venute a galla le negatività della globalizzazione: fragilità: la lunga e complessa catena di fabbricazione di una merce con unità produttive sparse ovunque e che prediligono grandezza di scala e specializzazione spinta; dipendenza: l’inceppamento di un solo elemento della catena rallenta la fabbrica, o crea penuria (prodotti farmaceutici, mascherine provenienti dalla Cina); chiusura e/o delocalizzazione di aziende locali, incapaci di reggere la concorrenza di paesi in cui vi sono meno vincoli sindacali e/o ambientali. A cui si aggiungono elementi sottovalutati o considerati addirittura “salutari”: forme d’organizzazione del lavoro “labour saving” (risparmio di lavoro umano mediante adozione di intelligenza artificiale e robotizzazione) che esigono nuove e altre competenze, ma eliminano quelle intermedie; pressione sui salari derivante dalla concorrenza tra paesi; concentrazione di ricchezza e crescenti divari di reddito e di sostanza, tra ricchi e poveri, e tra paesi; aumento di malattie psicosomatiche (stress, burnout); e non da ultimo le esternalità (costi non contabilizzati) addossate alle comunità odierne e future: i danni a salute, habitat, infrastrutture, derivanti da inquinamento, effetto serra, prelievo ed esaurimento di risorse naturali, di cui vengono conteggiati solo costi di produzione per estrarle, ma non quelli compiuti dalla natura per offrirceli. E allora quale futuro? Intanto benvenute le misure di sostegno statali all’economia: un “paracadute” in attesa di un altro modello di economia che sostituisca quello attuale in crisi. Crisi significa anche occasione di ripensamento. Parafrasando Einstein: “È follia riavviare l’attuale sistema economico aspettandosi risultati diversi da quelli attuali”. Coronavirus ci ha insegnato che, noi umani, non possiamo dominare la natura essendone parte integrante. Il modello di sviluppo per il futuro dovrà avere specifiche caratteristiche. Assicurare: la soddisfazione dei bisogni essenziali di ogni individuo di questo globo in primis (cibo, acqua, abitazione, abiti, salute, sicurezza; la sostenibilità (salvaguardia del globo e dell’ambiente), essere parchi nell’uso energetico e delle risorse della terra in generale e di quelle locali. A livello economico e ambientale ciò implica favorire: catene di produzione corte (il più possibile a km 0); economia circolare: produzione locale di beni e servizi, che rende possibile ridistribuire salari e introiti allo stato, che a sua volta consente di acquistare beni e servizi; prestiti senza interesse ad attori pubblici per investimenti significativi per la comunità; equi termini dello scambio tra paesi, eliminando i vantaggi concorrenziali basati su bassi salari, basse imposizioni fiscali e salvaguardie ambientali; adozione della moneta locale complementare a quella nazionale per agevolare scambi e rafforzare l’economia locale; reddito di base (finanziato tramite utili della BN e/o imposizione alti patrimoni e/o micro-imposta su transazioni elettroniche) che copra i bisogni di base. Come nei grandi cambiamenti epocali del passato, tutto dipenderà dal rapporto di forza tra odierni “conservatori” (coloro, pochi, che prima e ora hanno le redini del potere politico ed economico) e progressisti (società civile e suoi movimenti). Il prossimo virus arriverà, avvertono gli scientifici. Sbagliare è umano, tirare diritto è criminale.
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