Sant'Ambrogio, Papa Woityla e il "doping"

Se Sant’Ambrogio nel 393 d.C. mandò un SMS (a cavallo) all’imperatore Teodosio imponendogli di abbassare la saracinesca ad Olimpia, perché Papa Woityla non chiude la moderna bottega dello sport? O perlomeno perché non ne denuncia la crescente immoralità? Forse perché contrariamente al vescovo tedesco (Trier) e all’imperatore spagnolo (Cauca) lui lo sport lo ha praticato e lo ama. E ritiene che il suo canottaggio e il suo sci e le sue escursioni in montagna siano il vero sport e il professionismo attuale basato sulla siringa, il profitto e il divismo ne rappresenti una malaugurata “deviazione”. Facendo un primo parallelo a distanza dì 16 secoli si può dire che l’importanza delle Olimpiadi nel mondo greco-pagano e ora in quello occidentale-cristiano sia una e medesima. Ma lo è anche per tutti gli altri continenti e le altre religioni. L’autorità del Papa moderno però non è la stessa del vescovo di Milano Ambrogio che dopo un lungo braccio di ferro impose all’imperatore il primato della Chiesa. E gli fece cancellare tutte le manifestazioni legate al “paganesimo” in primis i Giochi Olimpici che i greci usavano addirittura per segnare il tempo storico. Allora la fine dello sport fu decretata da ragioni di fede, da verità rivelate (o interpretate): iI Vangelo dice che “il premio che si vince a Olimpia (la corona) è perituro, quello della gloria celeste è “eterno”. Se S.Paolo avesse detto che si poteva andare in Paradiso anche vincendo lo “Stadio” (i 100 metri) non ci sarebbe stato ostracismo allo sport sino a pochi anni fa. Ma il problema era il corpo, la bellezza del corpo, la “carne” messa in contrapposizione allo spirito. Ora visto che Papa Woityla ha praticato lo sport e che il corpo in moto non è più sinonimo di peccato, il problema (e il veto) cade: nel momento in cui il corpo che i “pagani” presentavano ai loro dei ad Olimpia per magnificarne l’eccellenza viene sempre più intaccato , modificato e autodistrutto dal “doping”. Il “culto” del corpo greco-pagano è sostituito non dal “culto” dello spirito o dell’ascesi ma dal culto della sostanza chimica che fa guadagnare qualche centimetro o qualche centesimo di secondo. A tutti i livelli: anche dove non si gareggia per i soldi ma per ambizione personale, nei cosiddetti “sport popolari”. La recente coraggiosa inchiesta italiana sul “doping” dimostra che la vera follia non è più quella dei professionisti, dei moderni gladiatori destinati a morte, ma dei dilettanti, dei giovani e persino dei “master” oltre i 50 anni. Tutti a caccia dell’“aiutino” come le massaie nei giochi televisivi. Tutti con il motore truccato. E se il Papa a 1600 anni di distanza proclamasse l’eccellenza del corpo umano naturale non di fronte al Giove di Fidia, ma al Creatore? Sarebbe un clamoroso rovesciamento di prospettiva (multinazionali della chimica permettendo…)

Pubblicato il

04.06.2004 12:30
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