Sangue su sangue

Senza fine. Il problema israelo-palestinese è ingabbiato in una spirale di violenza che non lascia spazio a sbocchi possibili. È un tormento infinito che inanella con angosciante regolarità storie di sofferenze e disperazione. È un confronto che ha irrimediabilmente sostituito la parola con il sangue. I palestinesi, la cui vita fatta di quotidiane umiliazioni e miserie non vale niente, sono pronti a morire. Perché non hanno proprio nulla da perdere. Anche gli israeliani, paralizzati dalla paura, sono vittime di questo orribile gioco al massacro. Un muro contro muro rafforzato senza limiti dal pugno di ferro di Ariel Sharon che si «distingue» per violare sistematicamente e consapevolmente le risoluzioni dell’Onu che ordina allo Stato di Israele di ritirarsi dai Territori occupati. In questo non c’è nulla di nuovo, è vero: sono anni che Israele viola impunemente tali risoluzioni. Ma è proprio questo uno dei nodi della questione, di una questione ampiamente irrisolta e che ora ha davvero raggiunto un pericoloso punto di non ritorno. Falco tra i falchi, Ariel Sharon non sa che cosa sia la parola pace: in fondo, non l’ha mai voluta. Yasser Arafat, indebolito, ambiguo e ambivalente, fatica a controllare i palestinesi e non riesce ad imporsi sulle frange più estremiste di Hamas e della Jihad islamica. Sordi e ciechi, incapaci di uscire dalla logica del terrore e delle rappresaglie, i principali attori di questa guerra mostrano tutte le loro contraddizioni. Primo fra tutti Ariel Sharon che al momento di accedere alla carica di primo ministro aveva promesso la sicurezza ad Israele. Ora è confrontato con un paese vulnerabile la cui protezione è affidata ai militari e la cui difesa si coniuga calpestando i palestinesi. A ben guardare forse era proprio questo il risultato a cui Sharon voleva giungere: la guerra. L’ha voluta, l’ha ottenuta. La politica ha fallito. E il prezzo da pagare è altissimo. Sia e soprattutto per i palestinesi. Sia per gli israeliani, tra i quali molti non hanno mai smesso di credere alla pace. Già la pace, un miraggio che nel deserto dell’impossibile dialogo appare quasi come una sorta di maledizione.

Pubblicato il

07.12.2001 00:30
Françoise Gehring Amato