È stata una sfida tra santi, con la vittoria di San Siro su San Remo: in Italia si sta ancora parlando della partitissima di sabato scorso tra l’Inter e la Juventus, elogiando e sottolineando giustamente l’elevato ed appassionante spettacolo offerto dalle due compagini, capaci di attirare e di catturare quel pubblico televisivo, indeciso fra l’ultima serata del tradizionale festival canoro e il big match del Meazza. Pure chi vi scrive ha dovuto scegliere e da incallito spettatore di eventi calcistici – oltre che da tifoso juventino – ha optato per il football. Finalmente anche nel cosiddetto campionato più bello del mondo, c’è stato un confronto all’altezza della sua fama e della sua reputazione; dopo diversi incontri di alta classifica stucchevoli e giocati esclusivamente sul piano fisico ed agonistico – ricordo una recente e noiosissima Roma – Juventus – eccoci proposta una partita vera, con tutti quegli ingredienti qualitativi e quantitativi indispensabili (azioni pregevoli, spunti di classe, reti splendide e grande suspense fino all’ultimissimo minuto di recupero) per creare uno spettacolo con la «S» maiuscola. A questo proposito, l’oramai ex direttore della Gazzetta dello Sport, nell’editoriale di domenica scorsa, ha opportunamente annotato: «Prima i fulgori dello spettacolo, poi le scintille della lotta. Fondendo il tutto, una grandissima partita, quale l’Italia del calcio si aspettava. Grazie a Inter e a Juve, il campionato ritrova davvero un evento di standard internazionale. I tifosi di parte resistono sempre, fedeli anche dinanzi agli orrori. Ma ieri sera, statene certi, nessuno spettatore neutrale si è annoiato. Macché festival e festival: San Siro ha battuto il suo collega San Remo. E alla fine immagino che i due santi si siano abbracciati con lo stesso slancio con cui l’olandese Davids, juventino, si è dolcemente avventato sul connazionale Seedorf, interista e mattatore della serata». Effettivamente tutti si attendevano, prima o poi, una sfida divertente e coinvolgente; il football ha bisogno come il pane di questo genere di manifestazioni che riconciliano con uno sport che spesso e volentieri ci viene «venduto» soltanto come un arido bene di consumo tramite il quale una folta schiera di personaggi ambiziosi e, magari, con pochi scrupoli tentano di ricavarne dei vantaggi personali. D’accordo, il calcio professionistico di oggi è diventato soprattutto un business, un affare che però deve restare godibile, piacevole ed avvincente per tutti i suoi fruitori, siano essi i milioni di telespettatori o il pubblico pagante. Il calcio ideale è quello alimentato dalla passione, dallo slancio e dalla disponibilità dei giocatori, degli allenatori, degli arbitri, dei dirigenti e del pubblico, i principali attori di un gioco che, costi un franco o un miliardo, deve rimanere un gioco accessibile a tutti.

Pubblicato il 

15.03.02

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