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Salariati travestiti da autonomi? Il Parlamento frena la farsa

Il Nazionale dice no alla “lex Uber” che avrebbe liberato i datori di lavoro da ogni obbligo sulla base di un semplice “accordo tra le parti” in cui si stabilisce che si tratta di “attività indipendente”. L’USS chiede ora regole chiare per le piattaforme digitali e le catene di subappalto

È fallito il tentativo di legalizzare il falso lavoro autonomo, tanto caro all’economia delle piattaforme come Uber. Il Consiglio nazionale (con 93 voti contro 88 e 10 astensioni) non è infatti entrato in materia sulla revisione di legge con cui si sarebbe voluto permettere di definire un’attività lavorativa di fatto salariata come “indipendente”, sulla base di un semplice “accordo tra le parti”. Un progetto, “figlio” di un’iniziativa parlamentare del Verde liberale Jürg Grossen denominata “Consentire l’indipendenza tenendo conto della volontà delle parti”, che era sostenuto da una maggioranza borghese della Commissione della sicurezza sociale e della sanità (CSSS) che ieri nel plenum non ha retto, avendo ottenuto solo l’appoggio di PLR, Verdi liberali e della maggioranza dell’UDC (tra le cui file si sono peraltro registrati anche due voti contrari e 8 astensioni).

 

“È stata una vittoria della ragione e soprattutto una vittoria delle lavoratrici e dei lavoratori, commenta l’Unione sindacale svizzera (USS), che si opponeva con veemenza al progetto insieme a tutti i sindacati, ad associazioni padronali come HotellerieSuisse e Swissstaffing, a 20 Cantoni e al Consiglio federale. Gli attuali criteri per distinguere tra lavoro autonomo e lavoro dipendente (cioè il grado di subordinazione organizzativa e il rischio imprenditoriale) hanno infatti dato prova di validità, come ha sottolineato durante il dibattito anche la consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider sostenendo la posizione contraria del governo.

 

La legge affossata dal Nazionale avrebbe permesso ai datori di lavoro di sottrarsi alla loro responsabilità sociale, a spese dei lavoratori e delle autorità pubbliche”, sottolinea ancora l’USS. Fosse passata, un padrone avrebbe infatti potuto chiedere a chiunque lavori per lui (tramite accordo scritto) di assumersi tutti i rischi economici come un lavoratore autonomo, liberandosi così da ogni obbligo: in materia di salari minimi, di orario di lavoro o di termini di disdetta, di assicurazione dei dipendenti contro gli infortuni e la disoccupazione, così come del pagamento dei contributi AVS e del secondo pilastro.

L’USS parla di “un’importante vittoria di tappa”, ma “lontana dall’essere sufficiente”, tenuto conto che il problema dei falsi autonomi prende sempre più piede, sia nell’economia delle piattaforme, sia nei lavori precari del settore dei servizi o nelle catene di subappalto basate sulla divisione del lavoro. “Tutti coloro che lavorano meritano di essere tutelati, indipendentemente dal modello di business del loro datore di lavoro”, sottolinea l’Unione sindacale, chiedendo una serie di miglioramenti mirati sul piano legislativo. In particolare: l’adozione del principio della presunzione di attività salariata per il lavoro su piattaforma digitale (deve essere l’azienda a dimostrare un eventuale status di autonomo; i sindacati dovrebbero poi avere il diritto di far decidere la questione del rapporto di lavoro in modo vincolante per interi gruppi di lavoratori; i grandi committenti dovrebbero infine assumersi la responsabilità del rispetto dei diritti sociali e del diritto del lavoro lungo tutta la catena di subappalto, come già avviene in una certa misura nella legislazione sui lavoratori distaccati.

 

FOTO: AdobeStock

Pubblicato il

04.06.2025 15:25
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