A due anni dalla bocciatura alle urne della legge sulla CO₂, il clima torna al centro del dibattito politico. Il prossimo 18 di giugno si voterà per approvare o meno la legge sul clima e sull’innovazione (LOCli), un controprogetto indiretto del Parlamento all’iniziativa popolare “Per un clima sano (Iniziativa per i ghiacciai)”. La legge, contro cui l’Udc e la destra economica hanno promosso con successo un referendum, intende contribuire a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e ridurre la dipendenza della Svizzera dalle importazioni di energia e rafforzare la protezione del clima. Della legge, ma anche della politica climatica in generale, così come dell’operato del nuovo responsabile del Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni (Datec), l’Udc Albert Rösti, ne abbiamo parlato con Greta Gysin, consigliera nazionale ticinese per i Verdi. Greta Gysin, due anni dopo il no di misura alla legge sulla CO₂ si torna a votare in ambito climatico. Cosa cambia nella legge sulla quale siamo chiamati a esprimerci oggi? Una cosa di sicuro non cambia: la necessità e l’urgenza di agire. Non cambia nemmeno l’obiettivo della legge che è quello di contenere il riscaldamento climatico a 1,5 °C in sintonia con l’accordo di Parigi e con quello che la scienza ci dice sia necessario fare per contenere i danni del surriscaldamento globale. Cambiano però gli strumenti per raggiungere questo obiettivo. Si è infatti deciso di tenere conto delle criticità emerse durante la campagna di votazione nel 2021 e che hanno contribuito alla bocciatura della legge sulla CO₂. Per cui non si agirà tanto sull’introduzione di nuove tasse o divieti, quanto piuttosto con incentivi.
Ci può fare un esempio? Vengono messi sul tavolo 200 milioni di franchi all’anno per un periodo di 10 anni destinati alla sostituzione dei vecchi impianti di riscaldamento e al risanamento energetico degli immobili. Assieme al traffico, l’ambito degli edifici è uno di quelli dove vengono emessi più gas a effetto serra e dove vi è più margine di manovra. La legge bocciata due anni fa puntava tanto sui limiti di emissione e disincentivi, mentre quella di oggi incoraggia, tramite incentivi, comportamenti virtuosi. Della sostituzione degli impianti di riscaldamento vetusti ed energivori con nuovi impianti di riscaldamento più efficienti ed ecologici approfitteranno anche gli inquilini, che vedranno ridursi le spese accessorie.
Il settore industriale ha tutt’oggi un impatto importante in termini di emissioni. Che cosa è previsto per spronare il cambiamento del mondo economico? La legge prevede incentivi per altri 200 milioni annui, spalmati su sei anni, per stimolare l’innovazione e le nuove tecnologie. Questo denaro sarà destinato a tutte quelle imprese che entro il 2029 decideranno di ridurre le proprie emissioni tramite un piano di riduzione.
Nella campagna del 2021 uno dei punti più dibattuti è stato l’ipotetico aumento della benzina previsto nella legge. Un argomento, questo, che con ogni probabilità ha spinto una parte della cittadinanza a votare no. Tuttavia, indipendentemente dalla legge, la benzina in questi due anni è aumentata. Cosa le fa pensare? Mi fa un po’ sorridere. Durante la scorsa campagna abbiamo cercato di fare passare il messaggio secondo cui le oscillazioni impattanti del prezzo della benzina non sarebbero dovute alla nuova tassa quanto piuttosto alle oscillazioni di mercato. I fatti ci hanno dato ragione. La legge respinta alle urne prevedeva un aumento massimo di 12 centesimi al litro, ma il rincaro avvenuto a seguito della guerra in Ucraina è stato molto più marcato. Ma poi vi è un altro aspetto secondo me importante.
Quale? Se c’è una cosa che la guerra in Ucraina ha mostrato con chiarezza è il fatto che essere così fortemente dipendenti dall’estero per l’approvvigionamento energetico ci rende molto vulnerabili, in quanto dipendenti da fattori che non possiamo controllare. Se fossimo riusciti a ridurre la nostra dipendenza dalle energie fossili e dall’estero, nell’ambito della mobilità ma non solo, avremmo subito meno il rincaro energetico. Così purtroppo non è stato e il rialzo dei prezzi è stata una botta per tantissime persone, soprattutto quelle che già vivono in uno stato di precarietà.
La mobilità elettrica è la soluzione? Anche in questo ambito, però, emergono contraddizioni sia per quanto concerne l’impatto ecologico dell’estrazione mineraria necessaria alla produzione di batterie e in merito anche al controllo di alcuni Stati su queste materie prime... Da un lato è chiaro che è importante abbandonare i combustibili fossili e che la mobilità elettrica è parte della soluzione. D’altro lato, però, passare semplicemente dalla mobilità basata sui combustibili fossili alla mobilità elettrica non è sufficiente. Occorre in effetti ripensare in generale alla nostra mobilità, favorire soluzioni come la mobilità condivisa, dolce e i trasporti pubblici. E, anche se è poco popolare dirlo, muoversi meno.
Come valuta la campagna e gli argomenti dei contrari alla legge? È una campagna incentrata sulla confusione che genera insicurezza e sulle fake news. È scandaloso che il partito di maggioranza relativa svizzero utilizzi questo metodo di disinformazione mettendo, di fatto, a repentaglio la democrazia svizzera. Si tratta di una dinamica pericolosa che mi preoccupa molto.
Come si spiega il fatto che l’Udc sia ancora una volta contraria alle riforme in ambito energetico e climatico. È solo una questione di lobby? Sicuramente vi sono degli interessi economici: ad esempio l’industria dell’importazione automobilistica e del petrolio sono fortemente legate all’Udc. In questo partito vi è poi, tuttora, una componente abbastanza importante di persone che negano i cambiamenti climatici e la loro origine antropica. Vi è però anche una spiegazione di natura politica. L’Udc vuole porsi come il partito in contrapposizione, anche a costo di assumere posizioni al limite dell’assurdo e fortemente contraddittorie. Ad esempio, sono contrari a questa legge sul clima che ridurrebbe la dipendenza energetica della Svizzera allorquando loro stessi continuano a sproloquiare di indipendenza e sovranità.
A proposito di Udc, come valuta l’operato del suo consigliere federale Albert Rösti alla guida del Datec? Da quando è diventato consigliere federale, Rösti ha già dato qualche segnale di come sarà la politica ambientale sotto la sua guida. Poco tempo fa il Consiglio federale in risposta a un atto parlamentare si è detto favorevole alle sei corsie autostradali praticamente ovunque. Questa sarà l’impronta della sua politica ambientale.
Rösti dovrebbe ora farsi promotore di quella legge sul clima che il suo partito vuole affossare. A differenza di Alain Berset che ha promosso la riforma delle pensioni malgrado la contrarietà del suo partito, il consigliere federale Udc non sembra profilarsi molto. Sbaglio? No, in effetti fino ad ora non è stato molto presente in questa campagna e non è un comportamento da uomo d’onore. In quanto consigliere federale incaricato del dossier dovrebbe infatti difendere la linea del governo, la sua opinione personale deve essere messa in secondo piano. Non è, purtroppo, quello che sta facendo. Greta Gysin siamo in un anno elettorale, ma rispetto alle ultime elezioni federali del 2019 – l’anno delle grandi manifestazioni giovanili per il clima − sembra che il tema dell’ambiente sia un po’ meno sentito. Cosa è cambiato rispetto a quattro anni fa? Il cambiamento climatico rimane il principale problema da risolvere. Rispetto al 2019, mi sembra che ultimamente ci sia meno speranza sul fatto che si possa fare davvero qualcosa per favorire una svolta climatica. La scienza ce lo dice chiaramente: se andiamo avanti, sarà una catastrofe. Ma anche se la speranza è meno percepibile, va detto che, nonostante la pandemia e la guerra che hanno caratterizzato il quadriennio, secondo i sondaggi il cambiamento climatico rimane la preoccupazione numero uno in Svizzera.
Le manifestazioni sono diminuite, ma sono aumentate quelle più radicali come il blocco delle strade. Queste azioni sono un bene o un male per chi come lei ha scelto la strada della politica istituzionale? Ho massima comprensione per la frustrazione, per il fatto che non si vada abbastanza velocemente nella direzione giusta. Non condivido però il metodo e, pur difendendo la legittimità della disobbedienza civile, sarebbe meglio se non avesse un impatto così diretto e negativo sulle persone colpite. Azioni come il blocco delle autostrade possono avere anche un effetto controproducente: si rischia infatti di minare la simpatia per la causa climatica, oltre che quella verso chi fa politica a favore del clima. Ciò potrebbe ripercuotersi negativamente alle urne.
Per i Verdi vi è quindi un problema? C’è un po’ questo rischio per quei partiti che, come i Verdi, si impegnano per l’ambiente nel rispetto della democrazia. Si rischia alla lunga di ottenere l’effetto contrario, ossia un indebolimento di quelle forze che portano avanti una politica per l’ambiente. Più efficaci sarebbero altre azioni e la forza della piazza che, come nel 2019, hanno spinto la politica ad agire poiché sotto pressione.
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