Romanzo criminale a Paradeplatz

Soldi, ville e sangue: ecco i retroscena della vicenda che vede Credit Suisse a processo accusata di aver riciclato 145 milioni di franchi per un boss della mafia bulgara

Conviene dirlo subito: questo non è un racconto di fantasia. Tutto è successo davvero. Certo, ci sarà poi una verità processuale. Una verità di cui andrà dato conto, ma che non possiamo prevedere. Anche perché, di anni dai fatti ne sono passati troppi, e chi oggi è sul banco degli imputati – Credit Suisse, due ex banchieri, due presunti membri dell’organizzazione criminale – ha i mezzi per poter contrastare l’accusa del Ministero pubblico della Confederazione (Mpc). Ma questo è un altro discorso. A noi, ora, in vista di un processo storico che inizierà il prossimo 7 febbraio, interessa capire come uno dei simboli del capitalismo ­ finanziario elvetico sia ­ finito implicato in una vicenda degna di un romanzo noir.

 

Sofia, 14 aprile 2005. Konstantin Dichliev sta uscendo dal ristorante in cui ha appena cenato in compagnia della moglie quando una scarica di piombo si abbatte su di lui. Dieci colpi letali, al corpo e alla testa.

 

L’uomo era il braccio destro di Evelin Banev, un ex lottatore professionista divenuto capo di una potente organizzazione criminale. Quello di Banev è un vero e proprio impero. Una sorta di multinazionale del crimine composta da due unità operative: da un lato una capillare rete di narcotrafficanti, corrieri e “muli” capaci d’importare dal Sudamerica tonnellate di cocaina da rivendere poi in tutta Europa; dall’altro un conglomerato economico composto da oltre 200 società sparse nel mondo e destinate a riciclare i soldi della droga, il cui valore è stimato a 30 milioni di euro la tonnellata.

 

Con questa montagna di soldi Banev è diventato un golden boy dell’immobiliare bulgaro. In riva al Mar Nero fa spuntare come funghi palazzi e alberghi. A dirigere le operazioni ha messo Konstantin Dichliev, l’uomo che ha sposato la sorella di sua moglie. Dichliev è anche il contatto che gli ha aperto le porte di una delle banche più importanti del mondo: Credit Suisse. Al primo piano della sede di Paradeplatz i due bulgari sono di casa, accolti come brillanti imprenditori che hanno accumulato milioni col mattone.

 

Konstantin Dichliev, quel maledetto 14 aprile, era armato. Aveva paura. Qualche tempo prima i rapporti col cognato si erano deteriorati. “Sei morto!” gli avrebbe detto Banev, dopo che il suo uomo di fiducia gli aveva detto di voler smettere. I due si erano così recati in Svizzera per informare Credit Suisse che la loro relazione d’affari era finita e che Banev avrebbe preso il controllo del conto della Marwyn. Questa società cipriota era un caposaldo della lavanderia del clan. Il 13 maggio, dopo aver prelevato 5 milioni di euro, Banev ordina la chiusura del conto. Motivo: rompere ogni traccia con Dichliev.

 

Poche ore dopo, quest’ultimo viene crivellato di colpi.

 

Soldi come se piovesse


Il giorno successivo Tatiana* è preoccupata. Con il mouse scrolla i siti bulgari e sente puzza di bruciato. Legge e archivia articoli. La stampa parla dell’omicidio e accenna al fatto che il morto fosse implicato in un grosso giro di droga. Un affare controllato da Evelin Banev. Tatiana è inquieta perché è lei che gestisce i conti dei due bulgari. Ma non fa nulla. Nemmeno quando, lo stesso Banev, la informa di essere stato interrogato in merito all’agguato.

 

Nata a Sofia, la donna è stata una tennista professionista fi no a quando ha appeso la racchetta al chiodo e ha cominciato a lavorare in banca. In Svizzera. Prima a Ubs, dove apre un conto per Dichliev, poi a Credit Suisse. Qui diventa responsabile per la clientela bulgara. In poco tempo, Zurigo diventa la più importante base finanziaria per l’organizzazione, all’epoca in pieno fermento sia sul fronte droga che su quello soldi. Dal 2004 al 2006, Banev, Dichliev, le loro mogli e altri associati aprono un totale di 84 conti e affittano otto cassette di sicurezza. Su queste relazioni vengono trasferite diverse decine di milioni di euro. Soldi sporchi, dice oggi l’Mpc, in buona parte provenienti da società offshore.

 

Il denaro arriva anche in contanti. Come se piovesse: sono circa 27 i milioni di euro (43 milioni di franchi al cambio dell’epoca) depositati così, cash, direttamente dai trolley colmi di banconote usate. Ufficialmente, erano neri fi scali di transazioni immobiliari. Tatiana non pone troppe domande. All’epoca, in Svizzera, regna ancora il segreto bancario e questo denaro non dichiarato è accettato senza problemi. Per la giovane impiegata, poi, quei soldi significano... soldi: in quattro anni il suo stipendio passa da 145.000 a 352.000 franchi. In gran parte sono bonus.

 

Un prestito da 10 milioni


Nel giugno del 2005, Tatiana si reca a Sofia con il suo capo. All’incontro, oltre a Banev, partecipa anche Vladimir*. L’uomo ha lavorato per 10 anni per una società di Cipro che creava offshore per clienti esteri. Poi si è dimesso per lavorare direttamente per Banev, diventando, dalla morte di Dichliev in poi, una sorta di amministratore delegato del suo impero. Scopo della visita: guardare coi propri occhi le attività immobiliari in vista di un credito che i bulgari hanno chiesto alla banca. Si accenna anche all’omicidio, ma così, en passant, senza particolari apprensioni. Anzi.

 

Una volta tornati a Zurigo, una filiale di Credit Suisse concede a Banev un prestito da 10 milioni di euro. La struttura del credito, approvata dalla gerarchia dell’istituto, è complessa al punto che, per gli inquirenti federali, non è che uno stratagemma per dissimulare l’origine del denaro.

 

La Svizzera piace a Evelin Banev, tanto che immagina di trasferirsi qui con la moglie. Comincia così a cercare casa e punta dritto a ovest. Verso la Romandia. In Vallese può contare su un suo uomo di fiducia, Hristo*, un ex lottatore cresciuto con lui a Topolovgrad e che da tempo si è trasferito a Martigny.

 

È a lui, un manovale mal pagato, che fa intestare una villa da 2,2 milioni di franchi acquistata a Vésenaz, nel Canton Ginevra. Nella città di Calvino, intanto, apre anche dei conti alla Julius Bär. Qui può contare su François*, un banchiere di fiducia (vedi a lato) che fa da tramite per un’altra operazione immobiliare: due appartamenti di lusso acquistati a Montreux per un totale di 1,3 milioni di franchi e intestati alla moglie e a sua sorella, la vedova Dichliev. Proprio per questo acquisto, ma anche per i conti che possedevano a Zurigo, nel 2020, le due donne sono state condannate dall’Mpc per riciclaggio e sostegno ad un’organizzazione criminale.

 

Un altro omicidio


Nell’aprile 2007, Evelin Banev viene arrestato per la prima volta in patria. L’informazione arriva in Svizzera. Tatiana è messa al corrente da Vladimir, che aggiunge un dettaglio: in quei giorni, nel suo appartamento di Sofi a, è stata uccisa Yordanka Zapryanova, la madre di Konstantin Dichliev. Il giorno dopo avrebbe dovuto confermare davanti a un procuratore le sue dichiarazioni che accusavano Brando dell’omicidio del figlio. Anche in questo caso, la notizia fa i titoli dei giornali. La stampa parla sempre più di Banev come “il re della coca”, boss di una potente organizzazione criminale. A Zurigo, non sembrano preoccuparsene molto. Tanto che, nonostante i sospetti sempre più evidenti, né Tatiana né altri segnaleranno mai i conti alle autorità.

 

A segnalarli è la Bulgaria. Ma Banev ha connessioni di alto livello in patria: sa che Sofi a ha inviato una rogatoria a Berna e organizza l’esfiltrazione del denaro. Quando, nel 2008, scattano le indagini elvetiche buona parte dei soldi è già al riparo all’estero.

 

Verso il processo


Credit Suisse finisce sotto inchiesta nel 2013. Nel frattempo, lontano da una Svizzera dove non è più il benvenuto, Banev continua a muovere chili di coca e a lasciarsi dietro una scia di sangue. Nel 2014, ad esempio, quando un compratore di coca rumeno si rivela essere un poliziotto sotto copertura, l’uomo muore avvelenato con veleno per topi. Banev viene condannato definitivamente per un totale di 36 anni di carcere in Italia, Romania e Bulgaria, da dove riesce a fuggire, forse anche grazie alla complicità coi piani alti degli apparati di sicurezza.

 

La sua fuga finisce solo nel 2021, in Ucraina. Da qui, però, non può essere estradato essendo diventato – come non si sa – cittadino ucraino. In Svizzera, a oltre quindici anni dai fatti, l’inchiesta giunge infi ne in tribunale. Il processo inizierà lunedì 7 febbraio al Tribunale penale federale e vedrà sul banco degli imputati Tatiana, Hristo, Vladimir, François e la stessa Credit Suisse. La banca è accusata di avere avuto un’organizzazione interna talmente carente da non avere potuto impedire il riciclaggio di oltre 145 milioni di franchi. Credit Suisse, così come la sua ex impiegata, nega ogni addebito e promette battaglia. Da parte sua l’Mpc chiederà un risarcimento di 42,5 milioni di franchi. Niente a confronto del danno d’immagine per una banca ormai travolta dagli scandali.

 

Pubblicato il

07.02.2022 09:31
Federico Franchini