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Rojava, una democrazia assediata


Perché i ribelli siriani e la Turchia vogliono mettere le mani sul Kurdistan siriano, baluardo di resistenza e autonomia: un’analisi

Dell'1,1 milioni di siriani sfollati in Siria dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad, secondo i dati delle Nazioni Unite, 100mila si sono rifugiati in Rojava per il timore di dover subire la vendetta di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) e altri gruppi jihadisti ora al potere a Damasco. Le tensioni più significative si sono registrate a Manbij, a Nord-Est di Aleppo, e nelle città curde e arabe di confine, come Deir Ezzor.

Inizialmente le Forze siriane democratiche (Sdf), guidate dai curdi e sostenute dagli Stati Uniti, sono avanzate a Deir Ezzor, per poi essere cacciate dai ribelli, in parallelo con la conquista del potere da parte di Hts a Damasco. Sono subito iniziati gli scontri dei gruppi, che includono miliziani che un tempo avevano combattuto tra le fila dello Stato islamico (Isis), con i militati dell'esercito libero siriano (Fsa) contro Sdf. I combattenti curdi delle Unità di protezione maschili e femminili (Ypg/Ypj) si sentivano più tutelate dalla presenza di Bashar al-Assad a Damasco che dagli esponenti di Hts che stanno guidando la fase di transizione in Siria. E più in generale il modello islamista del nuovo governo siriano si mostra poco compatibile con il progetto di autonomia democratica, teorizzato da Abdullah Ocalan, e alla base del modello che ha trovato realizzazione in Rojava nel Nord-Est della Siria.

 

Si combatte nel Kurdistan siriano

In un gesto di unità, Sdf ha adottato la bandiera dei ribelli per “affermare l'unità della Siria” del dopo Assad. Non solo, il comandante delle Sdf, il generale Mazloum Abdi, ha confermato che gli Stati Uniti, che sul territorio hanno ancora 900 soldati dopo il ritiro unilaterale voluto da Donald Trump durante la sua prima presidenza, hanno contribuito a mediare un cessate il fuoco a Manbij con le forze curde ma che Sdf “continua a resistere per fermare i crescenti attacchi” dei gruppi sostenuti dalla Turchia. E proprio il governo di Ankara è il più interessato a sfruttare questa fase di instabilità politica in Siria per mettere completamente fine al progetto, ispirato dal leader del partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), in carcere in isolamento in Turchia. I raid turchi hanno colpito il ponte di Qereqozake che collega Manbij a Kobane e la collina Mistenur alle porte di Kobane. Mentre i ribelli hanno coninuato a uccidere civili nei villaggi di Ayn Issa e al-Mustariha.

 

Secondo Abdi, Isis è di nuovo “forte nel deserto siriano” con i tanti jihadisti che hanno lasciato i campi dove si trovavano nell'Est del paese. “Ora hanno maggiore capacità di movimento e possono riciclarsi in altri gruppi che non li combattono”, ha commentato Abdi. In particolare i membri di Sdf sono impegnati nel combattere i jihadisti di Isis nell'area di al-Hasakeh. Il ruolo centrale nel combattere Isis lo hanno sempre avuto Ypg/Ypj, sin dalla liberazione di Kobane nel 2014, come riconosciuto ancora una volta dopo la caduta di al-Assad, anche da parte del segretario di Stato Usa, Antony Blinken.

 

“La situazione sta sfuggendo di mano in questo contesto di caos con campi affollati, infrastrutture severamente danneggiate, mancanza di acqua, elettricità, cibo e farmaci”, ha confermato il think tank Human Rights Watch. HRW ha anche avvertito del pericolo di torture, violenze e estorsioni da parte dei ribelli, sostenuti dalla Turchia, nelle aree curde. In alcuni video, si vedono i miliziani jihadisti uccidere i feriti negli ospedali dove erano stati portati dopo i combattimenti.

 

Chi sono i curdi siriani

I curdi siriani si concentrano nelle provincie di Jazira, Afrin e Kobane, profondamente politicizzati, furono tagliati fuori dal Kurdistan e rimasero senza rappresentanza in uno stato sempre più permeato dal nazionalismo arabo. Come conseguenza del Censimento di Hasaka (1962), migliaia di curdi siriani furono lasciati senza cittadinanza.

Nacque allora il principale partito curdo siriano, il Patito democratico Unito (Pyd), insieme a una miriade di almeno 32 piccoli movimenti politici. Pyd era organizzato come un partito comunista, con una struttura piramidale e membri che operavano in cellule segrete. I leader tribali locali videro nei partiti un mezzo per promuovere i loro interessi. Frammentati, con relazioni con i servizi di sicurezza, hanno organizzato le prime manifestazioni di piazza con la strage di curdi nello stadio di Qamishli del marzo 2004. Furono l'elezione di Masoud Barzani a governatore della regione autonoma del Kurdistan iracheno (Krg) nel 2005 e il sostegno che gli Stati Uniti assicurarono ai peshmerga iracheni dal 2003 a motivare le richieste di autonomia anche dei curdi siriani.

 

I curdi siriani e il regime di al-Assad

Non solo, la cooperazione tra partiti politici curdi e opposizioni arabe andò avanti nell'ambito della Dichiarazione di Damasco fino all'ottobre 2011. Questa collaborazione venne usata come strumento di pressione sul governo per chiedere cambiamenti nelle politiche pubbliche verso i curdi. Tra il 1980 e il 1998, Abdullah Ocalan visse nel Kurdistan siriano, dimostrando la sua vicinanza al governo di Damasco. Dopo la morte di Hafez al-Assad, l'avvento di suo figlio Bashar inaugurò una breve fase di riconciliazione anche con i movimenti curdi.

Alla vigilia delle rivolte del 2011, le concessioni di al-Assad ai partiti curdi miravano proprio a mantenere lo status quo. I timori di dominio dei Fratelli musulmani sulle opposizioni siriane portarono alla costituzione del Blocco nazionale curdo (Knc). Ma il Pyd rimase fuori dal fronte curdo di opposizione e iniziò a mettere in pratica le teorie di Ocalan dell'autonomia democratica, formando gruppi di auto-difesa e organizzando la sua ala armata: le Unità di protezione popolare maschili e femminili (Ypg/Ypj).

 

Da quel momento il Kurdistan siriano (Rojava) ha incarnato il tentativo di mettere in pratica le teorie di Ocalan. Qui sono state create assemblee popolari, i consigli locali sono stati formati con attenzione alla ripartizione etnica: i tre leader di ogni municipalità includono un curdo, un arabo e un assiro o cristiano armeno; uno dei tre deve essere una donna. Questo è avvenuto grazie alla stretta cooperazione tra Pkk e Pyd. Proprio i leader del Pkk hanno spinto per creare comunità libere, di auto-governo, basate sul principio di democrazia diretta in Siria.

E così il Pyd ha sempre combattuto in Siria la sua battaglia autonoma senza sostenere né Bashar al-Assad né le opposizioni. Dallo scoppio delle rivolte del 2011, i curdi siriani del Pyd si sono distinti per la loro indipendenza sia dal governo di al-Assad sia dalle frammentate opposizioni, perseguendo la loro specifica battaglia per l’autonomia. Dal canto loro, le opposizioni arabe sono apparse ostili alle richieste dei curdi, contrarie alla decentralizzazione per lo spettro del settarismo, e hanno diffusamente accusato i curdi del Pyd di essere in accordo con al-Assad contro l'Esercito libero siriano (Fsa), mentre il Partito democratico Unito accusava i militari anti-Assad di lavorare negli interessi turchi.

 

I curdi siriani e Isis

Nonostante l'aggravarsi della crisi con l'avanzata dello Stato islamico (Isis) in Siria e Iraq, il governo turco, accusato di permettere rifornimenti di munizioni e uomini a Isis attraverso il suo confine con la Siria in varie inchieste giornalistiche, non ha voluto appoggiare i curdi siriani del Pyd per il loro legame con il partito curdo di Ocalan, mentre le Unità di protezione maschili e femminili (Ypg/Ypj) hanno goduto di un certo sostegno da parte della coalizione internazionale anti-Isis, guidata dagli Stati Uniti. Eppure i bombardamenti contro i jihadisti agli occhi dei combattenti curdi sembrava che perseguissero più che altro lo scopo di mantenere l'equilibrio tra le forze in campo che di rafforzare il fronte curdo.

Nel 2015, la conquista della città di Tell Abyad da parte dei combattenti curdi siriani (Ypg/Ypj), con il parziale sostegno assicurato dalle milizie del cartello Burkan al-Furat (Vulcano dell'Eufrate), ha permesso la continuità territoriale tra i cantoni di Kobane e Jezira. La forza militare dimostrata dal Pyd nel Kurdistan siriano e i legami con il Pkk hanno però spinto le autorità turche, da una parte, alla concessione della base di Incirlik nel Kurdistan turco per le incursioni degli Stati Uniti contro Isis in Siria, dall'altra, alla formazione di safe-zone turche, con l'avallo della Nato, nel Kurdistan siriano per disattivare i progetti di indipendenza del Rojava.

 

Le operazioni turche in Rojava

Ankara non ha mai visto di buon occhio le manovre curde al suo confine meridionale, come ha confermato la creazione della buffer zone nel 2015 in Rojava che ha di fatto messo a dura prova la continuità territoriale tra i cantoni di Kobane e Jazira nel Kurdistan siriano.

In seguito l’esercito turco con l’operazione “Ramoscello di Ulivo” ha occupato il cantone di Afrin in Rojava a partire dal 20 gennaio 2018 mettendo a dura prova l'intero progetto di autonomia democratica, sostenuto dai curdi. Migliaia di civili curdi hanno dovuto lasciare la città. L'anno successivo con l’operazione “Sorgente di Pace”, avviata 7 ottobre 2019, le autorità turche avrebbero voluto ridisegnare definitivamente i confini della Siria settentrionale e ridefinire le alleanze geopolitiche tra i principali paesi che hanno interessi nella regione dalla Russia agli Stati Uniti, dalla Siria all’Iran. Le tensioni avevano da tempo lasciato spazio a un ampio accordo politico e diplomatico tra Ankara, Mosca e Teheran che ha permesso la conclusione dei lavori del gasdotto Turkish Stream e rafforzato a Damasco il regime di al-Assad, alleato di ferro del governo iraniano, fino alla sua caduta l'8 dicembre 2024.

 

Infine, con l’Operazione “artiglio” (2019), in cui il Krg iracheno aveva dato il suo assenso agli attacchi turchi contro il Pkk anche in territorio iracheno e l'Operazione “Blocco dell’artiglio” (2022) in cui sono state colpite le città di Metina, Zap e Avasin-Basyan, l'intero progetto di autonomia democratica del Rojava è stato duramente messo a rischio dall'esercito turco. 

 

Vedremo con il tempo se il Rojava, che si prepava a vedere gli effetti dell'entrata in vigore della sua nuova Costituzione, il Contratto sociale approvato nel 2023, e a tenere libere elezioni confederali si avvierà a vivere una fase di difficile stabilizzazione a causa della conquista del potere da parte dei ribelli a Damasco. Vedremo come questi ultimi agiranno, al di là delle dichiarazioni moderate di questa fase transitoria, con le minoranze cristiane, alawite, druse e curde in Siria. E soprattutto come si comporteranno con la difesa dei diritti delle donne che sono al centro del progetto del Rojava e che potrebbero essere messi a rischio da un governo, radicato nell'islamismo politico, a Damasco. Infine, solo con il tempo sarà chiaro fino a che punto la Turchia vorrà arrivare nell'ostacolare il progetto del Rojava e se la comunità internazionale, a partire dagli Stati Uniti, lascerà fare ad Ankara tutto quel che vuole nel Nord della Siria.

 

 

Pubblicato il

16.12.2024 08:20
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