Robbiani: «nel Ppd finché possibile»

In dodici anni di presenza a Berna si è distinto per la sua grande competenza, soprattutto nel campo delle assicurazioni sociali, per la sua intelligenza e per la sua inclinazione al dialogo e al confronto, dentro e fuori i confini del suo partito, il Ppd. Il ticinese Meinrado Robbiani, 60 anni, Segretario cantonale dell'Organizzazione cristiano sociale ticinese (Ocst) è tra i parlamentari più capaci e stimati dell'intera Assemblea federale, oltre che una colonna dell'importante Commissione della sicurezza sociale e della sanità del Consiglio nazionale.

In più di un'occasione le sue proposte hanno contribuito a sbloccare delle situazioni di stallo e favorito  soluzioni buone e largamente condivise. Una dote piuttosto rara a Palazzo federale, come tra l'altro una volta ebbe modo di riconoscere pubblicamente l'ex consigliera federale Ruth Dreifuss. Tra qualche settimana, non appena il Parlamento che uscirà dalle elezioni federali s'insedierà, tornerà a fare il sindacalista a tempo pieno.
Signor Robbiani, da quando lei è entrato in Parlamento, nel 1999, il mondo del lavoro è profondamente cambiato, in particolare in ordine all'entrata in vigore degli accordi di libera circolazione con l'Unione europea, che ha posto dei problemi nuovi. A suo avviso la classe politica è stata all'altezza nel gestire questa fase?
I grandi cambiamenti erano già iniziati prima, anche se l'apertura del mercato a un orizzonte internazionale ha acuito il processo di precarizzazione del lavoro. La politica ha reagito con un certo ritardo e senza dare le risposte adeguate, sia sul fronte delle regole del mercato del lavoro che su quello della sicurezza sociale. Le trasformazioni a cui abbiamo assistito e che sono tuttora in atto richiedono risposte e strumenti nuovi ma anche il potenziamento di tutta una serie di prestazioni, che viene impedito però da quelle forze politiche ossessionate dall'equilibrio finanziario dei conti dello Stato e delle assicurazioni sociali. Anche quando questo va a scapito della necessità di fornire risposte sociali ai cambiamenti. Come è stato il caso con l'ultima revisione della legge sull'assicurazione contro la disoccupazione con cui si è compiuto un passo indietro inqualificabile. Progressi significativi si sono registrati nell'ambito della politica familiare (assegni per i figli, congedo maternità, facilitazioni per i figli sui premi di cassa malati), dove però c'era un forte ritardo da recuperare.
Le misure accompagnatorie agli accordi di libera circolazione adottate dal Parlamento si sono rivelate inadeguate nel loro complesso. Nonostante i richiami, anche attraverso numerosi atti parlamentari presentati proprio da lei, Berna sembra non vedere i problemi di realtà come quella ticinese, dove il mondo del lavoro è confrontato con fenomeni di sfruttamento della manodopera di varia natura, in parte riconducibili addirittura ad attività criminali. Come si spiega questa attitudine?
Direi con tre motivi. Primo: i cambiamenti del mondo del lavoro sono rapidi e profondi e la politica ha tempi di risposta troppo lunghi; Secondo: le forze politiche dominanti frenano e impediscono ogni potenziamento delle misure contro il dumping; Terzo: gli effetti negativi della libera circolazione si ripartiscono in modo disomogeno sul territorio nazionale e penalizzano soprattutto il Ticino, che come minoranza gode di scarsa attenzione a Berna. Che non ci sia la giusta percezione dei problemi lo si è visto anche negli ultimi mesi di fronte a fenomeni quali quello del pagamento di salari in euro o  quello dei subappalti a catena nel settore dell'edilizia, che tra l'altro ha implicazioni sul piano del mancato rispetto dei contratti ma anche di natura più profonda se pensiamo come il fenomeno apra la strada anche ad attività legate alla criminalità organizzata.
All'interno del Parlamento le ragioni dei salariati faticano a imporsi. Sarebbe auspicabile modificare l'attuale sistema di milizia che di fatto impedisce a un lavoratore dipendente di farvi parte?
Il sistema di milizia, anche alla luce della sempre maggiore complessità dei temi trattati, ha i suoi limiti. Non è un caso che siano tanti i parlamentari che svolgono praticamente solo questa attività: di fatto si sta già andando verso una sorta di professionismo. Pur consapevole del problema che l'impostazione attuale dell'attività parlamentare non consente a un salariato di far parte del legislativo federale, rimango convinto della bontà del sistema: il fatto di mantenere un piede nel mondo del lavoro dà tutta una serie di stimoli che consentono di recepire i bisogni reali della società. Stimoli che un politico a tempo pieno rischierebbe invece di perdere. Nel mio caso, per esempio, l'esperienza professionale quotidiana ha costantemente alimentato la mia attività politica, che peraltro ho sempre inteso come un prolungamento di quella sindacale.
E il Parlamento in che misura è utile al sindacato?
Per il sindacato è quasi indispensabile avere rappresentanti nei parlamenti, in particolare in quello federale. Nonostante si riesca raramente a imporsi, è importante poter portare la voce del mondo del lavoro e stimolare la riflessione nei legislativi. Ma anche all'interno di partiti come il mio [il Partito popolare democratico, ndr] dove l'anima sindacale è in netta minoranza.
Proprio per questo lei, come rilevato dal suo presidente Christophe Darbellay "non ha quasi mai votato con il Ppd". È sicuro di essere stato al posto giusto, visto che molto spesso ha condiviso le stesse posizioni della sinistra?
Continuo a ritenere di sì. È importante che politici con una forte sensibilità sociale siano presenti anche nei partiti cosiddetti "di centro", perché sono questi che spesso determinano le maggioranze nell'ambito dei dibattiti parlamentari. Se fossi nel Partito socialista, sarei uno dei tanti che segue l'onda. Certo, nel Ppd le condizioni sono difficili, ma a volte si riesce ancora a spostare l'ago della bilancia in una direzione più sociale. Penso per esempio alla politica famigliare, nonostante anch'essa sia in parte minacciata dall'ala del partito più vicina all'economia. Ci sono poi temi che mettono in gioco valori come la difesa della vita su cui c'è piena condivisione delle posizioni del partito. Tutto sommato mi sono sin qui sentito a mio agio nel Ppd, anche se muovo diversi rimproveri a questo partito.
Quali in particolare?
Trovo che il Ppd, che soprattutto a livello nazionale (un po' meno in Ticino) sia troppo poco ancorato all'insegnamento sociale della Chiesa. Gli rimprovero in particolare di farsi eccessivamente influenzare dalle posizioni dell'Udc, di cedere troppo facilmente ai richiami della destra populista. Il che è sintomo di una mancanza di solidità culturale. Una solidità culturale venuta meno di pari passo con l'evoluzione sociale, la crescita dell'individualismo e la caduta delle ideologie.
Ritiene che il Ppd possa mantenersi ancora a lungo come partito di riferimento dell'Organizzazione cristiano sociale ticinese?
Solo finché si ritiene di poter avere un minimo d'influenza. Se un giorno dovessimo sentirci emarginati, s'imporrebbe una riflessione. All'interno del sindacato viene immancabilmente a galla la questione a sapere come e con chi avere legami a livello politico. Non è un segreto che nella nostra storia ci siamo più volte interrogati sull'opportunità di dare vita ad una forza più di matrice cristiano-sociale in senso stretto. Siamo sempre giunti alla conclusione che non fosse il caso, ma l'evoluzione futura potrebbe anche portare in quella direzione. La questione verrebbe sicuramente ridiscussa se per esempio il Ppd dovesse compiere un netto spostamento a destra, magari sulla spinta di un passaggio ad un sistema elettorale maggioritario. Noi siamo infatti chiamati a difendere la nostra identità e la capacità di portare sul piano politico i problemi che rileviamo nella nostra attività quotidiana. Dobbiamo dunque sempre scegliere il canale che meglio risponde ai nostri principi e ai nostri valori e che consente anche un minimo di efficacia.

Pubblicato il

21.10.2011 01:30
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