Ritorno all’antico

Gli Sforza non riuscirono a realizzare un monumento equestre in bronzo alla propria gloria. Lo avevano commissionato a Leonardo da Vinci, ma tutto finì in nulla per via dell’invasione francese. Riuscirono nell’intento invece gli Estensi con il monumento al marchese Niccolò III, che si trova all’ingresso dell’ex Palazzo ducale di Ferrara. L’opera, voluta dal successore Leonello d’Este e ultimata nel 1451 da Antonio di Cristoforo e Niccolò Baroncelli sotto la supervisione di Leon Battista Alberti, fu il primo monumento equestre realizzato recuperando la tecnica di fusione romana, e soprattutto il primo ad avere una funzione non funeraria. Dopo vennero il Gattamelata di Donatello e il Colleoni del Verrocchio, decisamente moderni.


L’impressione che se ne ricava guardando da sotto l’imponente piedestallo l’austera e insieme benigna figura di Niccolò è quella di una città che non dimentica, felice di stringersi attorno al suo signore. Quel signore e quella dinastia celebrati nel terzo canto dell’Orlando furioso: Questo è il Signor, di cui non so esplicarme / Se fia maggior la gloria o in pace o in arme.


Non si può però rinunciare a qualche considerazione sul reale entusiasmo dei sudditi dell’epoca. I signori di allora versavano tributi simbolici all’Imperatore o al Papa e inoltre grosse somme per comprare titoli nobiliari, per dotare le figlie che andavano spose nelle case regnanti d’Europa o per far legittimare dal Papa i figli illegittimi. Ma imposte in senso proprio nessuna. Invece erano percettori di tasse. Per farsi un’idea della loro natura bisognerebbe riferirsi alla tassa sul macinato introdotta in Italia nel 1869: in ogni mulino era installato un dispositivo che permetteva di contare i giri della macina e a seconda del numero dei giri veniva imposta una tassa che il mugnaio, trasformato in esattore per conto dell’erario, riversava sui contadini che facevano macinare il cereale. Ciò permise allo Stato di raggiungere il pareggio di bilancio già nel 1876, ma ridusse alla fame i contadini. Una tassa modellata sul sistema di imposizione indiretta proprio degli stati pre-unitari che prelevavano un tanto sui cereali, sulla farina, sul sale, sull’olio, sul vino, sulla legna, sulle bocche da sfamare, sulla proprietà, sui commerci.


Di controriforma in controriforma oggi stiamo tornando al sistema antico. Per esempio con gli sgravi fiscali concessi ai redditi alti e il continuo aumento delle imposte indirette come le tariffe dell’assicurazione malattia, le tasse al consumo (Iva), i dazi. Compresa quella sul sacco delle immondizie che incide in modo uguale sui poveri e sui ricchi. Ci stiamo avviando verso la tassa piatta, non si redistribuisce più la ricchezza.
La statua di Niccolò III è un falso: si tratta di una copia realizzata nel 1927 “liberamente ispirata” all’originale quattrocentesco distrutto dall’esercito napoleonico nel 1796-97 per ricavarne pezzi d’artiglieria. Anche la facciata del Palazzo ducale è falsa, essendo stata rifatta in stile neomedievale tra il 1923 e il 1928. La Direzione generale delle antichità e belle arti si opponeva a tale trasformazione, ma su pressione di Italo Balbo il progetto venne approvato. Quando i ricchi raggiungeranno il loro scopo ultimo di sottrarsi finalmente alle imposte, allora forse sarà necessario fondere di nuovo il Niccolò III. Per farne cannoni contro l’ingiustizia.

Pubblicato il

21.03.2019 09:46
Giuseppe Dunghi