La satira, specialmente quella politica, ha una storia antica. Già nelle commedie dell’antichità sia greca, sia latina e perfino nell’oscuro medioevo europeo esisteva, se non codificato nelle leggi, il diritto o meglio l’usanza di prendersi gioco del potere e dei potenti.
Essa si fonda, come è noto, su un’acutissima, fulminea ed assolutamente spregiudicata osservazione della realtà che trasforma il tratto di un personaggio pubblico (governante o meno), nel segno rivelatore di un carattere, di un tipo e di tutto il mondo da esso rappresentato. Ad ogni modo, al di là degli aspetti storico-culturali, la satira rappresenta il banco di prova di ogni democrazia. Infatti, essendo il riconoscimento della sua liceità un modo di concepire il sistema politico e sociale in cui si diffonde, la sua presenza in tutte le forme d’espressione (scritti, vignette, diffusione orale), misura se non il grado assoluto di democrazia almeno un certo grado di libertà di pensiero. Inoltre è strettamente legata anche al progresso economico e sociale di una nazione, soprattutto in quelle epoche contraddistinte dall’affermarsi – se non di una morale diversa – di una forte dialettica tra il vecchio ed il nuovo che avanza.
Per questo motivo non deve sorprendere l’esistenza e la circolazione di pubblicazioni satiriche nei paesi del Medio Oriente. Di questo e di altro abbiamo parlato con la signora Farian Sabahi, docente di Storia dell’Iran presso l’Università di Ginevra e collaboratrice – su temi medio orientali – del quotidiano economico “Il Sole 24-Ore”. L’occasione è stata una conferenza pubblica organizzata dall’Istituto di studi mediterranei dell’Università della Svizzera italiana. Il tema della serata era “Libertà d’espressione e satira in Medio Oriente”.
«Il genere satirico – ci risponde Sabahi – è stato importato in Medio Oriente nel corso del XIX secolo». «Le prime vignette satiriche, pubblicate sul giornale turco “Istanbul”, sono del 1837».
Ma vignette, a sfondo satirico, con argomenti Medio orientali erano già pubblicate su alcuni giornali e riviste europee. «Si era alla fine dell’Impero Ottomano. E tale impero era rappresentato come un grande malato al capezzale del quale si accalcavano le allora potenze europee in attesa di spartirsene le spoglie». Un’immagine o una battuta, come sempre accade, descrivono una situazione complessa meglio di mille parole.
Lei, signora Sabahi, durante la conferenza ha parlato in prevalenza dell’Iran. L’Iran, come tutti sappiamo, è una teocrazia, quindi non la migliore democrazia possibile, però ha mostrato delle vignette molto sarcastiche e ha dichiarato che non circolano per forza clandestinamente. Come mai? «Può apparire strano, ma la circolazione di testi satirici non è direttamente osteggiata dal governo. È vero che si continuano a chiudere una serie di testate giornalistiche, anche quelle satiriche. Ma ci sono riviste che resistono come “Golagha”, ormai storica». Quindi, come dappertutto, rispetto agli altri giornalisti “normali”, quelli satirici hanno licenza di prendere in giro? «È vero – ci risponde Sabahi –. Il problema è che non possono sempre mordere la mano che dà loro da mangiare. Molte testate, infatti, sono finanziate dal governo». «La censura ovviamente esiste. Tanto è vero che molto spesso le vignette più sagaci – e ovviamente quelle frutto della penna degli iraniani della diaspora – appaiono solamente su internet, che rimane il mezzo di comunicazione più libero». Comunque internet rimane un mezzo di comunicazione per pochi. «Internet, contrariamente a quanto si possa pensare, è diffuso in Iran, ma sono i giovani che frequentano gli internet café. Gli altri si accontentano delle riviste che comunque girano». «La circolazione è particolare. Magari sono vendute di seconda o terza mano. Comunque, rispetto ad altri paesi medio orientali, sono diffuse con più frequenza. Ed è più facile che il tassista di Teheran, ad esempio, compri più di un giornale piuttosto che navighi in internet». «La satira diffusa attraverso la rete è rivolta prevalentemente a chi sta fuori dall’Iran. Alla diaspora, che è numerosa soprattutto negli Stati Uniti».
Durante la sua conferenza ha parlato anche della Siria e ha dichiarato che in questo Paese la satira è più blanda. Forse perché l’utilizzo di internet è limitato? «Il governo siriano, contrariamente ad altri paesi islamici, limita fortemente l’utilizzo del Web. I giovani marocchini, per fare un esempio, hanno un accesso a internet illimitato. Nella sola città di Fez esistono più di trecento internet café. Dalla Siria, invece, non è possibile accedere a hotmail, ad esempio». «È però siriano il più grande personaggio della satira medio orientale. Si tratta di Alì Ferzat; pubblica anche su Le Monde ed è il fondatore di “Addomari” (Colui che illumina la via), un periodico satirico con una redazione di 40 giornalisti e un’elevata diffusione. È stato provato che l’interruzione di una sua collaborazione con un giornale arabo “Al Thawra” (rivoluzione), ne ha fatto crollare le vendite repentinamente».
Altro episodio legato a questo personaggio è quello avvenuto nel 1988 a Parigi. «Presso “l’Institut du monde arabe” – ci racconta la ricercatrice – fu organizzata una mostra di vignette satiriche. Alcuni dirigenti iracheni che finanziavano l’esposizione avevano chiesto che questo personaggio se ne andasse perché “colpevole” di aver presentato una vignetta in cui si vedeva un grosso Saddam Hussein che distribuiva, a mo’ di minestra, decorazioni militari. Gli altri artisti presenti fecero fronte comune e riuscirono a difenderlo». «Non deve nemmeno sorprendere che l’autorizzazione per pubblicare “Addomari” proviene direttamente dal presidente siriano Bashar al Assad».
Tornando a parlare della satira iraniana, è più politica o di costume?
«È difficile dirlo. C’è tanta satira politica e tantissima anche sull’economia. Questo perché sono i problemi che più toccano le persone comuni».
L’autocensura, ovvero il controllo preventivo dell’autore o dell’editore di un’opera per adeguarsi alle norme impartite dalle autorità, immagino che sia molto presente…
«L’autocensura è presente in tutte le forme d’espressione giornalistica. Anche in occidente, non solo in Medio Oriente. Purtroppo è un tema ricorrente in tutte le civiltà». |