Non è sempre facile sintetizzare i grandi temi dell'umanità in poche righe. Dietro ogni concetto, la sintesi e la ricchezza pedagogica, alcune delle virtù di Ignacio Ramonet, giornalista, dottore in semiologia e storia della cultura, ricercatore, analista e soprattutto militante sociale. Con i suoi 63 anni, unendo professione e impegno, non si ferma mai un momento: lunedì sera sarà a Locarno, ospite di Amca (cfr. riquadrato). Si batte per un movimento alter mondialista politicizzato e impegnato. Si entusiasma per l'appello ad un controllo planetario dei cittadini sui mezzi di comunicazione (Osservatorio mondiale). Cacciatore-preda, "intervistatore"-intervistato, Ramonet  è generoso di parole e pensieri. Il "suo" Le Monde Diplomatique lo dimostra. Questo dialogo lo conferma.

Ignacio Ramonet, qual è lo stato del pianeta terra, polarizzato e illogico? Ci stiamo dirigendo al fondo dell'imbuto, al punto massimo delle contraddizioni interne a livello mondiale?
Assolutamente, e questo ha una sua spiegazione. L'attuale dinamica egemonica, la globalizzazione, si regge sulla dottrina del neoliberalismo che fa della competenza e della competitività la sua caratteristica essenziale. E in nome di questa globalizzazione si verifica una battaglia quasi generalizzata, nella maggior parte dei paesi, del mercato contro lo Stato e del settore privato contro quello pubblico. Questo incita gli individui a confrontarsi con le collettività o le comunità. È una battaglia mondiale che fa sì che il territorio – nel suo senso astratto, cioè lo spazio che lo Stato e i servizi pubblici posseggono – diminuisca. È per questo motivo che paradossalmente, in diversi luoghi dove si assiste ad una crescita economica, si constata anche una grande disperazione sociale. È ciò che caratterizza il pianeta oggi: molta ricchezza accumulata e nello stesso tempo 2 miliardi di persone che vivono in miseria.
In questo contesto come sta l'America Latina?
Curiosamente vive un momento che io definirei come il migliore della sua storia. Specialmente negli ultimi cinque anni. Questo è dovuto a tre ragioni. Per la prima volta il complesso del continente non soffre delle tare politiche che lo hanno caratterizzato in altri momenti della sua storia, con le dittature militari. D'altra parte, anche questo per la prima volta, il movimento democratico permette l'ascesa al potere di settori dell'opposizione di centro-sinistra o di sinistra, che occupano i governi e che da qui danno impulsi ai cambiamenti democratici necessari a questi paesi. La terza ragione è che questo particolare momento politico coincide con una calma economica significativa su scala internazionale, in modo particolare dalla fine della crisi delle materie prime, e tutto ciò sta producendo indici di crescita complessivi forse mai visti prima d'ora dall'America Latina. Si danno dunque le condizioni oggettive, sia politiche, sia economiche, affinché si produca il tanto agognato decollo economico. E per la prima volta, dalla sua indipendenza dei primi decenni del XIX° secolo tutto ciò si produce con la costituzione o il consolidamento delle classi medie che sono sempre state molto importanti.
Diverbi e ricerca di alternative... Sia nei mezzi di comunicazione, sia, più globalmente nella società. In che tappa sta transitando il movimento alter mondialista che si batte per un "altro mondo possibile"?
L'alter mondialismo, la ricerca di opzioni e di alternative a livello planetario, è stata una delle grandi novità di questi ultimi anni 7-8 anni. Indiscutibilmente il movimento  è stato il nuovo attore politico che più ha suscitato curiosità e interesse. Dopo 6 anni dalla creazione del Forum Sociale Mondiale (Fsm), elemento catalizzatore di questo movimento, siamo in un periodo di riflessione. Senza dubbio l'entusiasmo dei primi anni – (ndr. tra il 2001 e il 2003) – è un po' decaduto. Mai come ora  è stato intenso il sentimento che bisogna fare qualcosa di diverso perché ciò che si sta muovendo a livello planetario non funziona, ma ci rendiamo conto che il movimento sta "pattinando", cioè che sta girando su se stesso.
Quali le cause di questa fase di stasi del movimento?
Bisogna riconoscere che lo spazio politico e ideologico del Fsm si è ridotto. E lo dico tenendo conto di due criteri. Il confronto centrale oggi  è tra Stati Uniti e islamismo radicale. In questo scenario il movimento alter mondialista si distanzia sia dall'uno che dall'altro, tanto dal militarismo statunitense che da quello dell'islamismo radicale e dei suoi metodi terribili. In questo confronto il movimento gioca il ruolo di "osservatore" ed in politica, il ruolo di osservatore implica inerzia e mancanza di iniziativa. D'altro canto, e questo è il secondo aspetto, il movimento è nato con l'idea centrale che le cose si possono cambiare a partire dal basso e che non è necessario conquistare il potere per mutare una realtà, in continuità con il pensiero zapatista del subcomandante Marcos. Inoltre, quale che sia il governo, quest'ultimo dovrà accettare la realtà di una società cambiata. In America Latina però, dove appunto nacque il Foro, andarono al governo diversi attori progressisti, in Brasile, Bolivia, Argentina, Venezuela, ecc. E questi stanno riuscendo nell'intento di cambiare le cose.
C'è una via d'uscita?
La risposta deve partire dalla constatazione che in questo contesto il movimento si è ridotto. Credo sia essenziale che trovi il suo campo e fissi un programma. Due anni fa lo proposi a Porto Alegre, assieme ad una serie di personalità. Trovammo una dozzina di punti che procurarono l'unanimità, pur mantenendo la diversità. Continuo a pensare che si debbano integrare questi dodici punti quali obiettivi e spingere tutti nella stessa direzione. In questo modo il movimento recupererebbe un senso e si impegnerebbe con una posizione politica.

"I media stanno con i potenti"

Sono pochi i segreti sulla verità e sulla menzogna nel settore dell'informazione che sfuggono al giornalista franco spagnolo Ignacio Ramonet. Studioso della comunicazione, il direttore de "Le Monde diplomatique" analizza l'attuale panorama mondiale dell'informazione, le sue contraddizioni e la complessa strada per costruire un'alternativa. «Negli ultimi decenni, i media hanno cambiato campo» esordisce Ramonet. Infatti se verso la fine del 19esimo secolo i media permisero che l'opinione pubblica si trasformasse nel quarto potere, oggi nella maggioranza dei paesi democratici, i media tradiscono i cittadini: «invece di sviluppare un sentimento civico e critico, sostengono i poteri forti».
Il motivo del cambio di campo è semplice: «molti di questi mezzi d'informazione appartengono a gruppi economici importanti che allo stesso tempo sono gli attori principali della globalizzazione. Se in passato il cittadino era oppresso dal potere economico, politico, religioso o militare, poteva però contare almeno sui mezzi d'informazione per difendersi. Ora invece è oppresso anche dal potere mediatico che tenta di manipolarlo», osserva Ramonet. Non c'è mai stata tanta informazione come oggi, ma allo stesso tempo il cittadino si è disarmato di fronte alla valanga informativa. E in particolare con l'avvento di internet crescono la disinformazione e l'informazione di bassa qualità.
Il contesto mondiale attuale ha per Ramonet quattro caratteristiche fondamentali: «La prima, essenziale, è la globalizzazione neoliberale. La seconda è l'uniteralismo statunitense: gli Usa dominano il mondo dal punto di vista militare, economico, tecnologico, culturale e informativo. La terza è che gran parte del mondo è totalmente ai margini di queste logiche, in special modo l'Africa. La quarta caratteristica è l'imponente crescita di paesi come la Cina e l'India che segneranno il futuro prossimo». In questo contesto mondiale secondo Ramonet l'informazione, al pari dell'ambiente, è stata contaminata da parassiti, batteri e pesticidi: «Nello stesso modo con cui lottiamo per difendere l'ambiente, dobiamo disintossicare l'informazione da tutte le menzogne». Ramonet torna quindi sul suo concetto di «Ecologia dell'informazione, per riappropriarsi della buona informazione». Da qui la sua proposta, lanciata al Forum Sociale Mondiale, di creare un Osservatorio mondiale dei mezzi di comunicazione, per garantire un controllo dei cittadini sui media.
Benché il compito e le sfide siano difficili e insidiose oggi, rileva Ramonet, ci sono spazi «che ci permettono di intravedere  segnali di speranza». Ne è un esempio internet, dove c'è molta controinformazione efficace. Ma non bisogna accontentarsi della controinformazione: «è l'informazione che deve essere rigorosa ed onesta». L'esperienza insegna a Ramonet che è facile cadere in un discorso militante e considerare che sia sufficiente dire l'opposto di quanto sostiene il sistema per credere di essere di qualità. «Uno dei limiti di questo processo accumulativo è che ogni cittadino non è per forza un giornalista: non è facile lavorare sul materiale informativo». La professione del giornalista è però attualmente molto maltrattata. I grandi gruppi di potere preferirebbero che sparisca, «perché dà loro fastidio che dei giornalisti possano elaborare informazione di qualità». Qual è l'origine di questa visione agressiva di molti editori? «I giornali gratuiti, che stanno dettando il genere d'informazione nelle grandi città. Giornali che hanno un livello zero d'informazione».
Nelle nostre società cresce la sfiducia nei confronti dei media. Quando molte voci diffondono un'unica informazione è come se ripetessero la stessa notizia come un coro unico e non come una pluralità di voci. Da qui la diffidenza verso i media. Il cerchio si chiude con un paradosso: «Siamo confrontati a dei mezzi di comunicazione molto sviluppati tecnologicamente, ma che disinformano e che hanno cambiato parte», conclude Ramonet: «Ora stanno con l'avversario».

Pubblicato il 

06.10.06

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