La fase di massimo splendore del neoliberismo è superata, e dobbiamo ora constatare che manca una chiara alternativa comune di sinistra. Malgrado occasionali successi in alcuni Stati la sinistra radicale organizzata partiticamente sembra frantumata. La socialdemocrazia europea dal canto suo spicca per la sua mancanza di orientamento politico. Questa crisi di orientamento è stata mascherata a breve termine con il documento di Tony Blair e Gerhard Schröder sulla “terza via e il nuovo centro”, molto influente ma strategicamente inconsistente.
Mentre per la Neue Zürcher Zeitung la “terza via” s’è sciolta come neve al sole, i media della sinistra liberal, che per anni si sono appellati al “nuovo centro”, scoprono improvvisamente che questa strada ha rappresentato una rottura con il mondo del lavoro salariato e che nel contempo ha prodotto un rafforzamento del populismo di destra. Se si assiste ad un congresso socialdemocratico qualsiasi in Europa occidentale risulta chiaro perché questi partiti hanno perso una parte consistente del loro elettorato tradizionale. Sono partiti in cui dominano funzionari e rappresentanti della tecnocrazia yuppie che crede in una “variante umana del capitalismo”.
Questo rovesciamento sociale dei quadri dirigenti socialdemocratici ha portato alla politica del “nuovo centro”, rispettivamente alla perdita di ampi settori di salariati, anche nel Partito socialista svizzero (Pss).
Negli anni ’90 il Pss ha approfittato sia delle stesse condizioni oggettive che quasi ovunque in Europa hanno reso possibili i successi elettorali socialdemocratici, sia dell’intelligenza tattica e dell’attivismo del suo presidente di allora, Peter Bodenmann: le vittime delle ristrutturazioni neoliberali vedevano nei socialdemocratici un baluardo contro un ulteriore smantellamento sociale, il “centro dinamico” si lasciò condurre dall’impeto riformatore del presidente – ciò che condusse il Pss alla vittoria elettorale del 1995.
Poco dopo divenne però visibile l’inizio di una lotta d’orientamento. Il messaggio semplice di Bodenmann («controlliamo il cambiamento strutturale a favore dei salariati») poteva funzionare soltanto in situazioni eccezionali. Di solito infatti s’impone il “normale rapporto di forze” del sistema partitico svizzero, ovviamente nell’interesse dei borghesi.
Prendiamo ad esempio la riforma delle Ptt, allora lodata come l’esempio ideale della capacità riformatrice del Pss. Oggi la maggioranza del partito, soprattutto dopo la vittoria del no alla Legge sul mercato dell’energia elettrica (Lmee), preferirebbe molto probabilmente la soluzione della holding, che allora fu respinta. Se infatti oggi abbiamo una Posta che sogna di essere quotata in borsa e una Swisscom che non manca una sola occasione per fare delle ristrutturazioni antisociali, questo non ha a che fare solo con il consigliere federale Moritz Leuenberger “che vira a destra”, ma soprattutto con la realtà dei fatti che in questo Paese sono sempre ancora i borghesi ad avere il potere.
In un primo tempo è stata l’ala sinistra del Pss, specialmente in Romandia, che s’è inalberata contro ulteriori liberalizzazioni del servizio pubblico. La sua alleanza con compagni piuttosto conservatori (Rudolf Strahm, Peter Vollmer e altri) e con i modernizzatori (Regine Äppli, Vreni Müller-Hemmi e altri) ha portato nel 1997, dopo le dimissioni di Peter Bodenmann, alla nomina di Ursula Koch quale presidente del partito – con la sconfitta di Andrea Hämmerle che appartiene al gruppo di Bodenmann. La breve era Koch è però stata offuscata da polemiche personali e da blocchi interni al partito, per cui non poté essere avviato un vero confronto sui contenuti e sul programma.
L’attuale presidente Christiane Brunner è a sua volta contro ogni confronto: da un lato perché i dibattiti di fondo potrebbero restringerne la libertà di manovra, dall’altro perché si concentra quasi esclusivamente sulle trattande dell’ordine del giorno parlamentare. Quale opzione di lungo periodo si può riconoscere nella sua dirigenza solo un certo processo di avvicinamento all’ala più socialliberale del Partito radicale.La preoccupazione principale di Brunner è di mantenere compatto il suo eterogeneo partito: così ora può dimostrare simpatie per il “Manifesto del Gurten”, che mira ad una comunità di valori liberale e orientata al consenso fra consumatori, banchieri e salariati, per poi sostenere il referendum della sinistra sindacale contro l’abolizione dello statuto di funzionario. Decisioni così contraddittorie e maggioranze sempre diverse fra i diversi campi nel partito e nella frazione parlamentare lasciano nell’opinione pubblica l’impressione che al gruppo dirigente del Pss manchi un orientamento sicuro.
Le lotte fra le diverse correnti secondo me non influenzeranno in maniera negativa l’esito delle elezioni federali del 2003, al contrario. Prevedo addirittura una progressione del Pss, da un lato per l’evidente debolezza programmatica dei partiti borghesi radicale e democristiano, dall’altro perché nella popolazione c’è un certo malumore per il populismo di destra dell’Udc di Christoph Blocher, benché questa continui ad occupare sull’agenda politica i temi della sicurezza e dell’asilo con argomenti pieni di disprezzo nei confronti di molti esseri umani. Il Pss potrà marcare dei punti con la sua tradizionale competenza su dei temi elettorali decisivi: revisione dell’Avs, furto delle rendite del secondo pilastro, votazione sull’iniziativa sui costi della salute e revisione della Lamal.
Per un'alleanza con i sindacati
Nonostante la possibile vittoria elettorale nel 2003 nella “crisi d’orientamento” non accadrà nulla di significativo. Il prossimo confronto sull’indirizzo politico è programmato per il 2004 quando si eleggerà il/la nuovo/a presidente. Se si dovesse imporre, contro ogni attesa, l’ala “blairiana”, per il Pss inizierebbero tempi difficili.
L’ala sinistra deve quindi prepararsi per tempo: è necessaria un’intensa discussione sui temi. A tal proposito vorrei brevemente indicare alcuni tra gli argomenti più importanti.
Primo: il Pss deve recuperare i salariati che sono fuoriusciti aderendo all’Udc o ritirandosi dalla vita politica. Questo significa che i socialisti devono elaborare una strategia comune assieme ai sindacati a favore dei salariati poiché questi, nel corso degli anni novanta, hanno perso circa il dieci per cento del loro potere d’acquisto, un’erosione da imputare soprattutto alla crescita dei premi pro-capite dell’assicurazione malattia. Tale strategia non può tener conto soltanto del salario puro e semplice ma deve considerare anche la “parte indiretta” dello stipendio che, a causa dell’aumento delle uscite per affitti, salute e formazione, diventa sempre più importante. È tempo di rendersi conto che questi temi sono almeno altrettanto importanti per la politica ridistributiva e quindi per la lotta di classe quanto la questione delle imposte.
Secondo: il Pss deve prender le distanze da una politica indifferenziata per il ceto medio. Questo presuppone un’analisi socioeconomica razionale del ceto medio svizzero. Ci sono categorie, per esempio le professioni sanitarie, che vengono vieppiù declassate, e altre che in una società meno conforme al capitale potrebbero esprimersi meglio (ad esempio i tecnici nelle industrie farmaceutiche a conduzione statale). Questa analisi potrebbe servire a riportare un po’ di dialettica nella discussione sui temi dell’epoca post-moderna.
Terzo: il Pss deve elaborare un progetto di riforma politica radicale, che abbia quale obiettivo anche il cambiamento dei rapporti di forza socio-politici. Domande oggi considerate “spinose” devono essere di nuovo affrontate: ad esempio la cogestione nell’azienda e i diritti dei salariati sul posto di lavoro, l’amministrazione delle pensioni e, pure, la fusione tra Avs e secondo pilastro. A lungo termine non si potrà neppure tralasciare la questione dei rapporti di proprietà.
Quarto: bisognerà dunque tornare a pensare ad un nuovo progetto di società. L’ala sinistra del partito socialista francese l’ha evidenziato nel dibattito aperto dopo la sconfitta elettorale: «Non si può andare contemporaneamente al Forum economico mondiale di Davos e al Forum sociale di Porto Alegre». Questo presuppone però un’apertura nei confronti delle forze che fanno politica a sinistra del Pss: i movimenti anti-globalizzazione, Attac e i sindacati di sinistra.
Quinto: ora che la Svizzera è finalmente entrata nell’Onu il Pss deve ridiventare attivo in politica estera. Un ambito che è stato per lungo tempo tralasciato oppure che è stato inteso solo come “diplomazia da salotto”. Abbiamo bisogno di rafforzare i contatti con i socialdemocratici di sinistra del resto dell’Europa e qui un Pss profilato a sinistra potrebbe giocare un ruolo importante. Un primo passo a livello continentale è stato fatto con la “Repubblica sociale europea” di cui fa parte il “Circolo di Olten” composto da esponenti della sinistra socialdemocratica. La “Repubblica sociale europea” vuole fare dell’Unione europea una confederazione democratica di stati, senza patti di stabilità economica ma con un nuovo e rafforzato servizio pubblico continentale. Questa alleanza tra socialdemocratici di sinistra è tanto più urgente in quanto la politica di guerra torna ad affermarsi dopo che il governo statunitense con la sua nuova strategia di sicurezza si è arrogato il diritto di condurre guerre preventive in tutto il mondo. Ed è tanto più deludente che pezzi dell’internazionale socialista (Blair, D’Alema, Peres, ecc...) si siano trasformati in servi di questa politica imperialista.
È forse giunto il momento di trovarsi ancora una volta tra “socialdemocratici di sinistra” a Zimmerwald?
* Consigliere nazionale del Pss. Questo testo è la traduzione di un articolo apparso sulla “Wochenzeitung” n. 49 del 5 dicembre 2002. Esso riprende ampi stralci di un contributo uscito nel n. 43 della rivista “Widerspruch”. La traduzione dal tedesco, la scomposizione dell’articolo e i titoli sono a cura della redazione di area.
Le tre correnti nel Pss
Semplificando e senza considerare le sfumature presenti nei vari campi si possono attualmente riconoscere tre correnti nel Pss.
Innanzitutto la destra socialdemocratica, con fra i suoi esponenti Simonetta Sommaruga ed Elmar Ledergerber. Il Ps del canton Zurigo voleva addirittura cancellare il riferimento al “socialismo democratico” dal suo programma, e il presidente della sezione cittadina, Koni Löpfe, era dell’avviso che l’iniziativa sui costi della salute, che chiede premi proporzionali al reddito e approvata quasi all’unanimità da due congressi nazionali, non fosse meno stupida dell’iniziativa popolare dell’Udc che mira ad un sistema sanitario a tre classi. Questo campo parte dal presupposto che con il passar del tempo la maggioranza dell’elettorato socialista sarà sempre meno disposta a seguire le indicazioni degli organi dirigenti del Pss.
La seconda corrente può essere denominata, semplificando, “l’ex gruppo di Bodenmann” (Werner Marti, Andrea Hämmerle, Hildegard Fässler, Susanne Leutenegger e altri). A differenza della corrente di destra, che vuole soltanto mitigare sul piano sociale i contraccolpi dei cambiamenti strutturali in atto, questa corrente vuole guidare il cambiamento ed è quindi favorevole ad una politica offensiva dello Stato a sostegno del servizio pubblico. Ad esempio ha contribuito in maniera decisiva a determinare la linea di intervento statale del Pss nella soluzione provvisoria della crisi Swissair.
L’ala sinistra del Pss è particolarmente ben rappresentata in Romandia, e la sua linea politica è determinata da Pierre Yves Maillard. L’ala sinistra può però contare pure nella Svizzera tedesca su validi esponenti, quali Christine Goll (vicepresidente del partito) e Paul Rechsteiner, la cui elezione alla presidenza dell’Unione sindacale svizzera (Uss) ha rafforzato l’ala sinistra. Il suo influsso dovrebbe ulteriormente crescere con il rifiuto della Legge sul mercato dell’energia elettrica: dopo che oltre la metà della frazione socialista in parlamento aveva votato in definitiva a favore della liberalizzazione, il no in votazione popolare dev’essere considerato come una sensazionale vittoria dell’Uss e dell’ala sinistra del Pss, che avevano lanciato il referendum. |