Guardare in casa d’altri per conoscere come si affrontano problemi analoghi può essere utile. Non solo perché si scoprono soluzioni diverse. Anche perché, soprattutto, si vedono altre scelte nel “fare economia” o “politica economica” che mettono in discussione le proprie o finiscono addirittura, in un certo qual modo, per ridicolizzarle sia per la tenacia con cui si ripropongono nonostante gli scarsi risultati, sia perché vanno sempre a senso unico. E guai a pensare a un’alternativa non solo più giusta ma  ̶  persino per le sacre leggi dell’economia liberale cui si continua a credere e per la necessaria coesione sociale che si sfodera di solito per mettere patriotticamente a tacere  ̶  più promettente e più economicamente e socialmente proficua.

 

Da noi perdura ormai da tempo immemorabile il principio che se vuoi fare progredire l’economia o far riprendere l’attività economica devi detassare i ricchi, rendere agevole il loro portafoglio, certi che la ricchezza rimasta loro e non sottratta dal fisco finirà per fluidificare verso il basso, generando nuovi investimenti, più produzione e più lavoro e occupazione e quindi anche maggiori entrate fiscali per gli enti pubblici, Stato o Comuni. Si eviterà anche che i ricchi se ne vadano altrove, dove il fisco è molto meno esigente, e che le industrie scelgano di insediarsi là dove il peso del fisco e dei doveri sociali non penalizzino la loro attività e i loro profitti e quelli degli azionisti. Non è che questo modo di vedere sia del tutto sbagliato. Vuol dire che ci sono dei limiti e che la famosa curva di Laffer (oltre un certo limite l’imposizione fiscale finisce per curvarsi ed essere nociva) ha una sua ragion d’essere.

 

Quel ragionamento, in Germania stanno portandolo dall’altra parte: non quella dei “capitalisti” ma quella dei “lavoratori”. Tanto che si è coniato il motto, persino dal governo: “Lavorare in Germania e pagare meno imposte”. È vero, bisogna pur precisarlo, che si pensa in particolar modo ai lavoratori stranieri ben formati, ai talenti da attirare sul suolo tedesco e al sempre più allarmante problema della carenza di manodopera. Il principio (o progetto) fa parte delle 49 misure del “piano di sostegno all’economia e alla crescita”, già adottato dal consiglio dei ministri. Concretamente, la misura proposta prevede che nel primo anno di attività di un lavoratore immigrato il 30 per cento del salario lordo sarà esonerato dall’imposta, il secondo anno il 20 per cento, il terzo il 10.

 

In verità la Germania non è l’unico paese a proporre soluzioni del genere; ci sono infatti anche l’Olanda, la Danimarca, i paesi scandinavi. E il problema di fondo è uno solo: la penuria di manodopera, in particolar modo qualificata. L’Istituto economico (IW) dimostra che solo quest’anno la Germania perderà 49 miliardi di euro a causa della mancanza di manodopera qualificata. Mancanza legata a fattori strutturali: invecchiamento, parte elevata di donne che lavorano a tempo parziale, situazione geopolitica mondiale (Ucraina, Vicino Oriente).

Pubblicato il 

30.08.24
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