Rifugiati sui banchi. Ogni Cantone fa da sé

Il diritto ad un’istruzione scolastica è sancito dalla Costituzione. Un diritto che sembrerebbe ormai acquisito in Svizzera. Non è così. Perlomeno non lo è per tutti. È il caso dei figli di richiedenti l’asilo ospitati in centri di accoglienza. Una direttiva del 1998 raccomanda che i bambini figli di rifugiati vengano mandati a scuola qualora questo apparisse «sensato, appropriato, necessario e ci fosse posto nelle classi». Nella prassi però ogni cantone si regola autonomamente. «Tutto ciò che concerne l’ordinamento scolastico è di competenza del cantone», spiega Mario Amato, giurista del Consultorio giuridico per richiedenti l’asilo di Soccorso operaio svizzero. Così per principio i cantoni Svitto e Appenzello esterno non accolgono a scuola i figli dei richiedenti l’asilo. Il canton Lucerna invece garantisce un insegnamento di base (da quattro a sei lezioni la settimana). La situazione è diversa per Grigioni, Zurigo e Argovia: lì in genere possono andare a scuola. E il Ticino come si regola? «Non ci sono problemi di sorta. I figli dei richiedenti l’asilo in età scolastica possono frequentare le scuole dell’obbligo, fino alla quarta media». «Per i ragazzi più grandi», continua Amato, «c’è un sistema di pre-tirocinio e di formazione empirica». Non ci sono problemi per quanto concerne licei, apprendistati o scuole professionali. Semmai la faccenda si complica a livello di scuole superiori. «Qui il discorso cambia: si pensi, ad esempio, all’Università. Ci sono capitati dei casi concreti di ragazzi che siamo riusciti ad iscrivere facendo capo a borse di studio oppure grazie alla partecipazione di enti che finanziavano lo studio». Il fatto è che in questo caso il Cantone non si addossa i costi. Oltre alla questione dei richiedenti l’asilo c’è anche quella dei figli di stranieri che arrivano in Svizzera per via di un ricongiungimento familiare. «In quel caso sono ovvie le difficoltà date dal non saper la lingua. Comunque sia possono iscriversi a scuola e in più seguono dei corsi di sostegno specifici per loro, recuperano l’italiano o le nozioni che non hanno in altre materie», conclude Amato. I problemi invocati da chi osteggia la scolarizzazione di questi ragazzi sono spesso di natura finanziaria. La scuola è confrontata con misure di risparmio e quindi non ci sono soldi. Ci sono poi dei comuni che si appellano invece alle cattive esperienze fatte: i figli dei rifugiati smettono di andare a scuola da un giorno all’altro, non sono puntuali e per le gite scolastiche sono a carico delle autorità. Ma come già detto il caso concreto del canton Ticino dimostra che tali difficoltà non sono insormontabili. Volendo si riesce. Una speranza per tanti ragazzi attualmente stipati nei centri di accoglienza di altri cantoni. Ragazzi a cui è negata la possibilità di farsi degli amici tra i coetanei, di imparare la lingua del posto. Di integrarsi, in una parola. Non importa se qui saranno solo di passaggio. Senza un’istruzione è difficile anche costruirsi un futuro. In Svizzera o all’estero, non importa.

Pubblicato il

23.08.2002 05:00
Sabina Zanini