Un’imposizione minima delle imprese multinazionali che realizzano miliardi di profitti sfruttando i privilegi dei paradisi fiscali come la Svizzera è attesa da anni ed è auspicabile per la giustizia sociale in Svizzera e nel mondo. Ma la cosiddetta “Riforma fiscale Ocse” su cui il popolo elvetico voterà il 18 giugno, non persegue questo obiettivo, contrariamente a quanto tentano di farci credere il Consiglio federale, i partiti borghesi e le associazioni economiche come Economiesuisse e Swiss Holdings. La prevista imposta minima sarebbe anzi causa di maggiore ingiustizia fiscale. Ai più la materia appare complessa e l’oggetto non appassiona certamente le folle, ma la posta in gioco non è trascurabile per le cittadine e i cittadini di questo paese, così come per le popolazioni del sud del mondo, dove le multinazionali producono ma al tempo stesso sottraggono risorse e dunque servizi essenziali ai cittadini come l’educazione e la sanità, spostando il loro domicilio fiscale in paesi con tassi d’imposizione molto più bassi. Per limitare questo fenomeno l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha introdotto la regola che impone alle grandi imprese attive a livello internazionale con una cifra d’affari annua superiore a 750 milioni di euro di pagare almeno il 15 per cento di tasse sui loro utili. Una disposizione che i circa 140 Stati che hanno aderito alla riforma dovranno applicare dal 1° gennaio 2024. In virtù di questo impegno, la Svizzera, estremamente attraente per le multinazionali per il suo fisco “clemente” e dove per questo vi trasferiscono miliardi e miliardi di utili (111 solo nel 2022 secondo uno studio), ha adottato una sua soluzione: un’imposta nazionale complementare. Essa prevede che le multinazionali che finora hanno pagato meno del 15% di imposte sugli utili dichiarati in Svizzera subiscano un’imposizione supplementare per raggiungere il tasso minimo Ocse (un’impresa che oggi paga il 13% dovrebbe la differenza del 2%).Un tasso peraltro troppo basso da cui i paesi in cui avviene la produzione, soprattutto del sud del mondo, trarrebbero scarsi benefici, avverte Alliance Sud, centro di competenza svizzero per la cooperazione internazionale e la politica di sviluppo. E per quanto riguarda l’applicazione prevista in Svizzera, la principale criticità è data dal fatto che quasi la totalità degli introiti fiscali supplementari finirebbero nelle casse già ricche dei cantoni (come Zugo o Basilea Città) che praticano un dumping fiscale spinto e per questo attraggono le multinazionali. Il progetto prevede poi che il 25% di entrate supplementari spettanti alla Confederazione venga impiegato per misure di promozione economica, così come hanno in previsione di fare numerosi cantoni. Promozione economica in favore di chi? Delle multinazionali evidentemente, per cui sono in cantiere generose misure di compensazione della nuova tassa. Insomma, le imposte sottratte ad altri paesi dalle grandi imprese che prendono sede in Svizzera verrebbero impiegate a beneficio delle medesime imprese. Di qui l’importanza di affossare il progetto in votazione il 18 giugno, che obbligherebbe poi le Camere federali a elaborarne uno migliore, che consenta di trarre beneficio dai maggiori introiti generati da una più giusta imposizione delle multinazionali a tutta la popolazione. E non solo a un manipolo di ricchi residenti in un paio di cantoni.
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