L'editoriale

C’è un mondo reale in cui le pensionate e i pensionati fanno sempre più fatica, anche nella ricca Svizzera, a tirare la fine del mese. E c’è una politica che dovrebbe dare delle risposte, ma che, come se operasse da un pianeta lontano, sa solo proporre tagli alle rendite e misure di risparmio sulle spalle delle donne, cioè della categoria che già soffre per le discriminazioni di genere insite nel sistema pensionistico elvetico e che si traducono con (mediamente) un terzo di rendita di vecchiaia in meno rispetto agli uomini. Ma c’è anche un movimento sindacale che sa offrire un’altra prospettiva: quella di assicurare una vecchiaia dignitosa a tutte e tutti. L’iniziativa popolare per una tredicesima mensilità Avs depositata oggi alla Cancelleria federale corredata di 140.000 firme (e che dunque sarà sottoposta a votazione), va proprio in questa direzione, perché propone un rafforzamento di quella che in Svizzera è l’assicurazione sociale per eccellenza.


L’introduzione di una tredicesima permetterebbe infatti di migliorare la condizione di vita dei pensionati più poveri e soprattutto di tante donne, spesso penalizzate per aver lavorato a tempo parziale essendosi dovute sobbarcare lavori di cura e di custodia dei figli. Penalizzate per non aver avuto accesso alla previdenza professionale e dunque costrette a vivere la vecchiaia con la sola Avs o comunque con rendite sensibilmente inferiori a quelle degli uomini.

 

L’iniziativa ha il pregio di essere assolutamente finanziabile, per esempio con una parte degli utili miliardari della Banca nazionale, soldi che appartengono al popolo. Con i 38 miliardi conseguiti nel solo primo trimestre del 2021 si coprirebbero i costi di una tredicesima Avs per dieci anni.


Il successo dell’iniziativa popolare dei sindacati (la prima a riuscire dall’inizio della pandemia) giunge proprio mentre il Parlamento si appresta a varare un’inaccettabile riforma dell’Avs (la cosiddetta Avs21) che, per «stabilizzarne le finanze» prevede l’innalzamento a 65 anni dell’età pensionabile delle donne. Un’ipotesi che le cittadine e i cittadini svizzeri hanno già rifiutato due volte in votazione popolare ma che il Consiglio federale (con in testa il ministro socialista Berset), la maggioranza delle forze politiche presenti in Parlamento e il padronato si ostinano a considerare come l’unica via percorribile.


L’iter parlamentare non è ancora concluso ed è possibile che il Consiglio nazionale (che se ne occuperà durante la sessione estiva che si apre il 31 maggio) adotti qualche correzione di cosmesi, ma i contenuti della riforma sono già chiarissimi: uno smantellamento dei diritti e una riduzione delle rendite realizzati dietro il paravento dell’uguaglianza e dell’emergenza finanziaria nonché un “atto preparatorio” in vista di interventi ancora più brutali, in particolare di un innalzamento generalizzato per tutti dell’età pensionabile a 67 o 68 anni. Una prospettiva nefasta, irrispettosa delle persone e contraddittoria in un mercato del lavoro a cui i giovani faticano sempre di più ad accedere e dal quale i “vecchi” vengono espulsi.


Altrettanto chiaro è che per fare gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori e di tutti i cittadini la via da seguire è quella di un rafforzamento dell’Avs e non certo quello di un suo smantellamento. Le soluzioni per il finanziamento ci sono e se la priorità è di garantire finalmente delle rendite dignitose, la risposta non può essere quella di prolungare la vita lavorativa e di tagliare prestazioni. L’impegno dei sindacati per una tredicesima Avs e contro Avs 21 offre prospettive decisamente migliori ai pensionati di oggi e di domani.

Pubblicato il 

27.05.21
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