Il mezzo fallimento dei politici e dei sindacalisti nella gestione del «dopo Swissair» non è una sorpresa. È normale che nessuno abbia potuto fare alcunché per salvare, prima del crash, l’ex compagnia di bandiera, gestita da un impenetrabile consiglio di amministrazione e da una direzione generale distante anni luce dalla realtà. Qualcuno ha giustamente osservato che se i lavoratori fossero stati rappresentati nelle stanze dei bottoni, sul modello tedesco, le cose sarebbero andate diversamente. Il sistema svizzero della «corporate governance» (gestione aziendale) esclude dai processi decisionali e strategici gli impiegati, cui non spetta neanche il diritto di partecipare al capitale sociale, come invece avviene in Francia. Ma a danno fatto, quando ormai Swissair era posta in amministrazione controllata, cosa avrebbero potuto fare politici esindacalisti? È significativa la riunione straordinaria delle camere federali che ha luogo il 16 e il 17 novembre, ultima chance per ricucire lo strappo, almeno per quei partiti che sono stati messi di fronte al fatto compiuto. C’è infatti qualcosa di anomalo nel modo in cui è stato deciso di impegnare i soldi dei contribuenti. I sei deputati della Delegazione delle finanze votano un maxi-credito di 1,6 miliardi, a fondo perduto, senza consultare il Parlamento. Mentre il governo, composto da sette ministri, sborsa 450 milioni per far decollare gli aerei inchiodati a terra dal rifiuto delle banche di anticipare i soldi del carburante. Se sono sufficienti tredici persone (anche meno, visto che non tutti erano d’accordo) per aprire la cassaforte federale, a cosa servono i circa duecentocinquanta, tra deputati e senatori, rappresentanti del popolo? È altrettanto assurdo che un eventuale voto negativo delle Camere «sovrane» non avrà alcuna incidenza sugli impegni presi, come spiegano ai giornalisti i giuristi parlamentari. «Occorre un cambiamento radicale delle regole e un ridimensionamento delle prerogative della Delegazione delle finanze», dice Pierre-Yves Maillard, consigliere nazionale socialista. Intanto il Consiglio federale ha già confezionato un decreto-legge urgente che permette a Kaspar Villiger di disporre delle somme promesse a Swissair e Crossair. A questo punto l’approvazione del parlamento è una tappa forzata, che molti considerano una semplice formalità, con buona pace degli ex dipendenti di Swissair, privati di «piano sociale» con la stessa facilità con cui si dice «arrivederci e grazie». Non è un capriccio allora il richiamo al rispetto delle norme contrattuali e della legge che prevedono, in un caso, un trattamento di fine rapporto pari ad alcune mensilità e, nell’altro, il trasferimento degli ex dipendenti Swissair alla nuova Crossair mantenendo le stesse condizioni salariali durante un anno (art. 333 del Codice delle obbligazioni). Tutti hanno capito che, se si lasciano fare il governo e i poteri economici, i licenziati non vedranno un soldo e i «neo-assunti» della Crossair dovranno rinunciare al 20% o al 45% del reddito. Anche il banchiere ginevrino Benedict Hentsch se ne è accorto e ha proposto il prelievo di 150 milioni dal capitale della nuova Crossair per finanziare il piano sociale. Politici e sindacalisti hanno adesso l’opportunità di avere finalmente una presa sugli avvenimenti, dopo aver visto passare sotto il naso, con un preoccupante senso di impotenza, il cadavere dell’ex compagnia nazionale seguito da oltre due miliardi di franchi, prelevati beninteso dalle tasche dei contribuenti. «Più che un furto è una truffa», accusa il consigliere nazionale Patrice Mugny, membro della Commissione delle finanze (da non confondere con la Delegazione delle finanze). Il deputato ginevrino, co-presidente dei Verdi, chiede un miliardo di franchi per il piano sociale – 500 milioni per i prepensionamenti, 500 per i licenziamenti – rilanciando come al poker la misera posta di 200 milioni messa sul tavolo dai socialisti. «Basta rinviare di un anno l’abbattimento fiscale dell’imposta diretta (circa il 30% ndr), che sia detto per inciso favorisce i grossi redditi, per ritrovarsi con due miliardi in più», calcola Patrice Mugny. Altra soluzione : «Rinunciare al miliardo che è stato destinato all’esercito dopo gli attentati dell’11 settembre». Più realistica appare invece la proposta di Pierre-Yves Maillard – anch’esso membro della Commissione finanze – di un emendamento da introdurre nel testo del decreto-legge urgente del governo: «Gli azionisti onorano gli impegni contrattuali (piano sociale e art. 333, ndr) con quote pari alle percentuali di capitale che detengono nella nuova compagnia Crossair». Occorrono 101 preferenze al Consiglio nazionale e 24 al Consiglio degli Stati per interinare il decreto del governo, numeri che malgrado il sostegno dei radicali (Prd) e dei democratico-cristiani-popolari (Pdc/Ppd) non potrebbero essere raggiunti per il dissenso di Verdi, socialisti e democratici di centro (Svp/Udc), che al Consiglio nazionale rappresentano circa 70-80 parlamentari. Con la ventina di assenze previste l’esito del voto potrebbe dipendere da una sola preferenza. Quella di Cristoph Blocher ?

Pubblicato il 

16.11.01

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