Sei anni di lavoro, 11’000 pagine di dati, ricerche d’archivio e indagine storica sulla Svizzera durante la seconda guerra mondiale: queste le impressionanti cifre del «rapporto Bergier», ovvero il rapporto finale della Commissione indipendente di esperti «Svizzera - Seconda Guerra Mondiale». «Lo storico non è giudice e una commissione di storici non è un tribunale. Qui non si tratta dunque di condannare o assolvere persone, gruppi o interi paesi per le azioni da loro compiute durante e dopo la guerra. Occorre però tematizzare la responsabilità». Questa frase, contenuta nel riassunto del rapporto Bergier esprime bene quale sia la reale portata di questa ricerca storica: non un inutile e costoso esercizio di stile sulle disgrazie del passato – come pretendono alcuni detrattori (cfr. Il Mattino Della Domenica, 24 marzo) –, ma un attualissimo invito a riflettere costantemente sulle responsabilità oggettive legate alla politica e all’economia dello Stato. Il Rapporto Bergier ci mette di fronte a responsabilità spiacevoli, che vanno accettate con onestà intellettuale. Il punto cruciale del rapporto Bergier è proprio questo e vale per il tremendo passato del conflitto mondiale quanto per l’apparentemente tranquilla realtà di oggi: «Non si tratta di contrapporre tra loro inconciliabili punti di vista “realistici” e “idealistici”, ma di riconoscere standard morali cui l’attività statale non dovrebbe abdicare nemmeno – e soprattutto – in momenti di crisi e pericolo. Il timbro con la «J» del 1938, il respingimento di profughi che rischiavano la morte, l’esitazione nell’offrire protezione diplomatica a propri cittadini, i generosi crediti concessi dalla Confederazione alle potenze dell’Asse nell’ambito dell’accordo di clearing, l’aver tollerato troppo a lungo il transito di merci favorevole alla Germania attraverso le Alpi, le forniture di armi allo Stato nazista, i privilegi finanziari offerti all’Italia e alla Germania, le polizze assicurative liquidate in favore del regime nazista invece che dei titolari, l’equivoco commercio in oro e beni depredati, l’impiego di circa 11 mila lavoratori coatti nelle associate svizzere nel Terzo Reich, l’assenza di volontà e l’evidente trascuratezza messe in atto nella questione delle restituzioni, l’ospitalità offerta nel dopoguerra a personalità del regime nazista considerate «rispettabili cittadini tedeschi»: tutto questo rappresentò una violazione assai frequente del diritto formale e pure dell’ordine pubblico, cui si soleva fare riferimento con tanta solerzia. Negli ultimi cinquant’anni venne spesso evocata l’assenza, a quei tempi, di senso di responsabilità, continuando però a mostrare di esserne privi. La Svizzera attuale deve affrontare quest’evidenza.

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12.04.02

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