Rennwald: «non si può continuare a governare con l'Udc»

Attraverso il titolo del suo ultimo libro, fortemente autobiografico, si è definito «figlio (unico) della classe operaia». Non è un caso che Jean-Claude Rennwald, 58 anni, faccia sempre riferimento alle sue origini quando è chiamato a raccontare la storia della sua vita. Una vita d'impegno politico e sindacale, iniziata subito dopo la morte prematura del padre (operaio presso la von Roll di Delémont) che in lui suscitò un «forte sentimento di ribellione». Consigliere nazionale socialista per il Canton Giura dal 1995, Rennwald tra qualche settimana lascerà la politica. E il prossimo anno anche l'attività di sindacalista presso Unia.

Signor Rennwald, lei ha più volte paragonato Palazzo federale a una "prigione". Ora si sente come un detenuto che sta per riconquistare la libertà?
In un certo senso sì, anche se quella era più che altro una battuta che mi è venuta pensando a certi riti che si consumano sotto la cupola di Palazzo federale (come quello di indossare la cravatta) o al fatto che tutti lì dentro si danno del tu facendo del Parlamento una sorta di club privato. Personalmente mi sono sempre rifiutato di dare confidenza a personaggi che disistimo, come i consiglieri nazionali dell'Udc Christoph Mörgeli e Ulrich Schlüer, per il loro profilo chiaramente razzista, direi prefascista.
Se si pensa alle numerose revisioni di legge votate negli ultimi anni dalla maggioranza del Parlamento, in particolare in materia di diritto del lavoro e di assicurazioni sociali, ci si rende conto che per un sindacalista l'elenco delle sconfitte è lungo. Il suo bilancio è dunque negativo?
Sul piano parlamentare abbiamo patito parecchie sconfitte, ma in un certo numeri di casi siamo riusciti a correggere il tiro in votazione popolare: con le bocciature della Legge sul lavoro nel 1996, di quella sull'assicurazione disoccupazione nel 1997, della legge sul mercato elettrico nel 2002, dell'11esima revisione dell'Avs nel 2004, della Legge sulla previdenza professionale nel 2010. D'altro canto ci sono stati pure dei successi, come i programmi di rilancio economico che hanno consentito di salvare molti impieghi o le misure di accompagnamento adottate nell'ambito degli accordi tra Svitzzera e Unione europea in materia di libera circolazione delle persone.
Non ritiene che quelle misure si siano rivelate inadeguate a contrastare i fenomeni di dumping salariale e sociale e che necessitino di essere rafforzate?
Il problema è che tali misure non vengono applicate dappertutto con il medesimo rigore. In Romandia vige maggiore severità che nella Svizzera tedesca e in Ticino. D'altro canto un nuovo intervento si impone. In particolare, servirebbero misure più efficaci contro i cosiddetti "falsi indipendenti" e un rafforzamento delle sanzioni per chi contravviene alle norme.
La voce dei lavoratori sotto la cupola di Palazzo federale è molto debole. Sarebbe a suo avviso auspicabile apportare correzioni all'attuale sistema di milizia, che di fatto impedisce a un lavoratore dipendente di fare il parlamentare?
Ho molto riflettuto su questa questione e sono giunto alla conclusione che sarebbe necessario un Parlamento di professionisti per dare maggiori possibilità ai salariati di sedere in Parlamento.
In che misura per i lavoratori è utile avere dei sindacalisti in Parlamento?
C'è una complementarietà importante tra l'azione politica e il lavoro sindacale. Da un lato i sindacalisti parlamentari garantiscono un importante flusso d'informazioni utili verso il sindacato e dall'altro possono contribuire a far passare all'interno delle istituzioni delle proposte provenienti direttamente dal movimento sindacale, come fu il caso nel 1996 per il programma di rilancio economico, che era un progetto del vecchio Sindacato edilizia e industria.
Lei è stato però un parlamentare "completo", che è intervenuto (con i suoi 263 atti parlamentari e non solo) sui temi più svariati...
Conscio del ruolo del parlamentare, ho sempre cercato di non dedicarmi esclusivamente ai temi cari alla mia organizzazione di appartenenza, ma anche dei problemi della mia regione e di temi che toccano l'insieme della società.
È cambiata nel corso degli anni la qualità del confronto politico dentro il Palazzo?
Se penso ai miei primi anni a Palazzo federale, che iniziai a frequentare in veste di giornalista tra il 1977 e il 1984, devo dire che all'epoca c'erano molti grandi oratori. Oggi invece sono merce rara. D'altro canto il livello di scontro si è elevato e per il Partito socialista è divenuto  difficile accettare le soluzioni di maggioranza, sempre più marchiate dall'Udc.
Anche nel Partito socialista le posizioni sindacali non fanno sempre l'unanimità, in particolare tra i parlamentari svizzero-tedeschi. Come valuta la coabitazione tra socialisti romandi e ticinesi da una parte e socialdemocratici tedescofoni (diversi già a partire dalla denominazione del partito) dall'altra?
I partiti socialisti romandi e quello ticinese hanno maggiori legami con il mondo del lavoro e con il movimento sindacale rispetto a quelli della Svizzera tedesca, dove ormai sono ancora un punto di riferimento quasi esclusivamente della classe media. Una tendenza preoccupante e che induce molti lavoratori a orientarsi verso l'Udc e la destra in generale. Secondo una statistica recente, se nel 1975 il 45 per cento dei lavoratori votava ancora socialista, oggi solo il 16 per cento lo fa. È inquietante ma al tempo stesso comprensibile: basti pensare per esempio che nel 2005, in occasione della votazione popolare sulle aperture domenicali dei negozi nelle stazioni e negli aeroporti, vi era anche un numero consistente di socialisti che sosteneva quella legge. E, aspetto ancora più inquietante, in favore della liberalizzazione si erano schierati anche intere sezioni giovanili e femminili della Svizzera tedesca. Il fatto che alla fine la revisione legislativa ottenne una maggioranza risicata [del 50,6 per cento, ndr], la dice lunga sull'incapacità di certi socialisti di comprendere i bisogni della gente. Ma questo è il prezzo che si paga quando si perde il contatto con il mondo del lavoro.
Come si possono combattere le idee dell'Udc se con essa si governa? Non crede che nel suo partito si imponga una riflessione seria sull'opportunità di continuare a far parte del Consiglio federale?
È un tema che ho sollevato a più riprese. A mio avviso, il problema non è però se essere o non essere in Consiglio federale. La questione da porre è quella di sapere se si può fare qualcosa di utile all'interno del governo. Una volta per tutte si dovrebbe fare una scelta tra un governo di "piccola" coalizione comprendente il Ps e la destra diciamo "classica" [Ppd e Plr, ndr] o un esecutivo tutto di destra senza il Ps.
Lei ha sempre postulato l'adesione della Svizzera all'Unione europea. È sempre di questo avviso?
Sono sempre fautore di un'adesione, ma negli ultimi anni, di fronte alle derive neoliberali e antisociali della politica dell'Unione europea, sono divenuto molto più critico. Purtroppo oggi anche le stesse centrali sindacali nei differenti paesi europei sono molto più nazionaliste e chiuse su loro stesse rispetto a una quindicina d'anni fa, nonostante la necessità di cambiamento imporrebbe una visione molto più unitaria.

Pubblicato il

21.10.2011 02:00
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