L'acqua calda esiste. L'ha annunciato lunedì Economiesuisse, autrice della scoperta. L'organizzazione padronale svizzera ha infatti presentato un suo studio secondo cui i ricchi pagano più tasse dei poveri. Diciamo che è una mezza buona notizia: con tutti gli sgravi degli ultimi anni e con una concorrenza fiscale sempre più sfrenata non ci sarebbe stato da stupirsi se lo studio fosse giunto alla conclusione opposta, cioè che i poveri pagano più tasse dei ricchi. Ma è anche una mezza cattiva notizia, perché essa è soltanto un primo passo di una nuova strategia volta a sgravare ulteriormente la pressione fiscale sui ricchi. Economiesuisse ha infatti già preannunciato un secondo studio su "chi trae profitto dallo Stato": facile immaginare a che conclusioni arriverà, e quale sarà l'uso politico che di queste "scoperte" si vorrà fare.
Il nodo fiscale è da qualche anno al centro dell'offensiva neoliberista a livello federale, dopo la grande abbuffata delle privatizzazioni (in realtà non ancora conclusa). Ed è uno dei cavalli di battaglia della destra in vista delle elezioni federali del 21 ottobre (cfr. l'articolo a pag. 4). Il ritornello è sempre lo stesso: il carico fiscale è eccessivo e lo Stato spreca troppi soldi. Ma mentre si presentano in gran pompa proposte di riduzione delle tasse per il ceto medio (senza mai dire dove inizia e dove finisce il ceto medio), in realtà si persegue un'ingente defiscalizzazione dei grossi redditi e dei grandi capitali. E quando si punta il dito contro gli abusi delle prestazioni dello Stato sociale ci si dimentica di dire che anche il capitale della socialità ne abusa: basti pensare ai costi per la disoccupazione di quelle ristrutturazioni industriali dettate da logiche unicamente finanziarie che rendono unicamente ai fondi d'investimento e sparano alle stelle il valore delle azioni.
In realtà essere ricchi non è di per sé una colpa. E i ricchi potremmo anche ringraziarli per il bene che fanno allo Stato e, quindi, a tutti noi, come implicitamente sembra volere Economiesuisse. A due condizioni però. La prima è che per la loro posizione di privilegio riconoscano di avere delle responsabilità, un'idea questa sempre più astratta nel capitalismo selvaggio di oggi. La seconda condizione è che ammettano di essere loro stessi i primi beneficiari dei servizi offerti da uno Stato forte ed efficiente quale tutto sommato è (ancora) il nostro. Perché senza un valido sistema formativo, senza una buona gestione del territorio, delle infrastrutture e dell'ambiente, senza un clima sociale sereno, senza un'amministrazione, un apparato di sicurezza e una giustizia efficienti, senza i necessari incentivi all'imprenditoria, insomma: senza il decisivo ruolo dello Stato non è pensabile nessun vero benessere, né individuale né collettivo.
Quel che sconcerta di più però è doversi ritrovare per l'ennesima volta nel ventunesimo secolo a scrivere queste ovvietà.

Pubblicato il 

24.08.07

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