Tra il 14 e il 18 ottobre, più di 500 rappresentanti di importanti movimenti sociali provenienti dall’America Latina e del Nord, dall’Asia, dall’Africa e dall’Europa si incontreranno a Johannesburg, in Sudafrica, per partecipare a un incontro internazionale convocato da “Dilemmi dell’Umanità” . Si tratta della III Conferenza internazionale e mira a “discutere e creare una piattaforma comune di riflessione e azione” dei movimenti sociali su scala globale. Essi cercano di ottenere un consenso non solo sulla diagnosi della situazione planetaria, ma anche su opzioni sistemiche alternative. Uno dei promotori dell’incontro sudafricano è l’attivista italo-svizzero Maurizio Coppola, sociologo di formazione, giornalista freelance, traduttore e interprete. Dalla fine del 2017, Coppola vive a Napoli, in Italia, dove ha partecipato alla fondazione del movimento politico Potere al Popolo. Coppola rappresenta anche la sua organizzazione nell’Assemblea Internazionale dei Popoli (AIP) e nella segreteria europea. L’AIP è una rete internazionale di organizzazioni politiche, sociali e sindacali progressiste che promuovono il processo di consolidamento di “Dilemmi dell’Umanità”. Ci può spiegare brevemente in cosa consiste “Dilemmi dell’Umanità”? Il processo Dilemmi dell’Umanità è iniziato come un incontro tra movimenti e organizzazioni popolari, partiti e intellettuali per discutere le sfide che dobbiamo affrontare a livello internazionale e per sviluppare proposte concrete per superare il capitalismo. Si tratta di uno spazio di riflessione collettiva che possa far avanzare l’elaborazione analitica e teorica e il coordinamento di azioni comuni. In questo senso, Dilemmi dell'Umanità è più di una semplice conferenza internazionale, è uno spazio di dialogo in costante costruzione con l’obiettivo di consolidare l’unità politica e una visione condivisa verso il socialismo. Storicamente, le prime due conferenze sono state organizzate dal Movimento dei Lavoratori Rurali Senza Terra (MST) del Brasile, la prima si è svolta a Rio de Janeiro nel 2004, la seconda a São Paulo nel 2015. Questo secondo incontro ha costituito anche la nascita dell’Assemblea Internazionale dei Popoli in cui sono state definite le linee guida di questo coordinamento internazionale. In un certo senso sembra che questo “spazio-processo” riprenda concetti simili a quello che all’epoca era il Forum Sociale Mondiale, uno spazio aperto, di riflessione, senza grandi risoluzioni finali etc. È così? Il Forum Sociale Mondiale dell’inizio del nuovo millennio ha avuto un’importanza fondamentale nella politicizzazione di un’intera generazione di militanti politici e attivisti sociali in tutto il mondo; io stesso sono figlio di quell’ondata di proteste e mobilitazioni contro la globalizzazione neoliberista guidata dalle istituzioni internazionali come la WTO, il WEF etc. Il FSM come spazio internazionale del movimento altermondialista ha avuto quindi il suo senso nei primi anni di questo movimento mondiale. L’incapacità del FSM di porre la questione di una rottura rivoluzionaria con il sistema capitalista e la sua rapida *ONG-izzazione* lo ha però trasformato in un incontro in cui si potevano pure trovare analisi interessanti sullo stato della globalizzazione e sulle campagne di sensibilizzazione contro le conseguenze nefaste del sistema dominante, ma in cui mancavano sia un orientamento sull’organizzazione politica portatore di un progetto alternativo, sia la questione del potere. Riassumendo: non basta essere una lobby dei popoli oppressi per cambiare il mondo, bisogna organizzarsi con obiettivi che ci portano in posizione da decidere come il mondo deve girare. In questo senso, Dilemmi dell’Umanità è nato proprio imparando da queste contraddizioni e da queste “mancanze organizzative”. Dopo la seconda conferenza del 2015 a São Paulo si sono costruite le strutture che oggi costituiscono i tre pilastri fondamentali dell’Assemblea Internazionale dei Popoli, cioè il centro di ricerca Tricontinental con i suoi uffici in Brasile, Argentina, in India e nel continente africano; un coordinamento di progetti mediatici che raccontano il mondo da un punto di vista dei movimenti e delle lotte popolari; e infine il coordinamento delle scuole di formazione politica esistenti in tutte le regioni del mondo, iniziando proprio dalla fondamentale esperienza della Scuola Nazionale Florestan Fernandes del MST. Sono questi gli strumenti comuni nella nostra articolazione internazionale. Qual è la sfida principale di questa conferenza che si terrà in Sudafrica, in una congiuntura internazionale così complessa marcata dalla grave crisi climatica, le guerre e l’aumento della fame nel mondo? Tutti questi dilemmi da te menzionati staranno al centro della conferenza in Sudafrica, l’elaborazione di una comprensione comune delle cause e degli effetti di questi dilemmi quindi un nostro compito fondamentale. Però la conferenza, appunto, non si vuole fermare alla mera analisi delle contraddizioni e delle crisi in cui ci troviamo a livello globale. Le questioni fondamentali rimangono due. La prima è quella dell’organizzazione della classe operaia, cioè il fatto che la costante trasformazione della nostra società ci obblighi a elaborare permanentemente nuove forme organizzative, perché siamo convinti che senza una classe e il popolo organizzati non si riesce ad avanzare. Oggi, per esempio, è diventato centrale la questione che lega lo sfruttamento lavorativo alla questione della casa. Sempre più persone lavorano nel settore informale e sono poveri (i cosiddetti working poor), cosa che limita drasticamente l’accesso a delle abitazioni degne. Quindi la partecipazione dei movimenti che si organizzano partendo della questione della casa è fondamentale: penso a Abahlali baseMjondolo, il movimento sudafricano di persone che vivono negli insediamenti informali e che lottano per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei poveri; il movimento dei lavoratori senza tetto MTST brasiliano fondato nel 1997 e che oggi organizza oltre 55.000 famiglie in 14 stati del Paese nelle lotte urbane; o l’Unión de Vecinos, il movimento degli inquilini di Los Angeles negli Stati Uniti dove è praticamente diventato impossibile per un lavoratore e una lavoratrice che guadagna il salario minimo (15 dollari l’ora) trovare un’abitazione a costi abbordabili. Questo incontro internazionale di esperienze di lotte per la casa non ha solo un significato simbolico, ma rappresenta la convinzione che le dinamiche che escludono le persone dai fondamentali diritti sociali sono uguali in tutto il mondo e che quindi l’insegnamento reciproco diventa un momento centrale per l’avanzamento organizzativo e politico. La stessa convergenza di analisi e movimenti di lotta avverrà su altri temi come il diritto alla salute pubblica, la sovranità alimentare, il diritto dei migranti alla libera circolazione, i diritti delle donne, la pianificazione ecologica, etc. La seconda questione è quella della costruzione dell’utopia socialista. Ogni Paese, partendo dall’organizzazione della classe e dalla sua realtà, deve costruire la sua propria strada per accumulare forza volta alla trasformazione sociale, al superamento del capitalismo e alla costruzione del socialismo. La presenza dei rappresentanti delle esperienze cubane e venezuelane è ovviamente importante. Secondo lei cosa deve essere il risultato concreto di questo incontro in Sudafrica? A Johannesburg si riuniranno 250 delegati da tutto il mondo più altri 250 rappresentati di movimenti, sindacati e organizzazioni dal Sudafrica. Il fatto che si tiene una tale conferenza internazionale organizzata dal basso nel continente africano è già un successo in sé, perché restituisce un’importanza a un continente che nei dibattiti politici, anche quelli “a sinistra”, è spesso lasciato nella marginalità, malgrado la sua importante storia di lotte di liberazione nazionale durante il XX secolo. E proprio gli ultimi colpi di stato avvenuti in diversi Paesi dell’Africa occidentale (Burkina Faso, Mali, Guinea, Niger, Gabon, senza dimenticare il Sudan) dimostrano che la fiamma anti-coloniale non è affatto spenta e che la volontà di riscatto del popolo africano è ancora grande. Detto ciò, rimane aperta la strada che imboccheranno questi Paesi, perché la partenza dei Paesi colonizzatori (in primis la Francia) non significa automaticamente uno sviluppo in direzione del socialismo; sappiamo benissimo che senza una forte autorganizzazione e un protagonismo popolare, i nuovi governi possono pure rappresentare nuove forme di oppressione. In questo senso, la partecipazione di WAPO (West Africa Peoples Organisation) fondata proprio durante questi ultimi anni di radicale cambiamento nella regione, rappresenta una grande ricchezza. Finora ho solo parlato delle altre regioni del mondo in cui i movimenti popolari sono storicamente forti e sono cresciuti negli ultimi anni, ma non ho parlato del “mio” continente, l’Europa. L’articolazione politica dell’AIP in Europa ha maggiori difficoltà a radicarsi tra i movimenti sociali e le organizzazioni politiche ed è, in questo senso, anche più “giovane”. Vogliamo uscire dai 5 giorni di Johannesburg con un accordo che prevede uno sforzo maggiore di coordinamento di specifiche campagne politiche e sociali a livello continentale. La presenza di diverse organizzazioni politiche provenienti da Italia, Belgio, Irlanda, Ungheria e Germania costituisce una buona base di partenza. Le sfide che i movimenti progressivi europei dovranno affrontare nei prossimi mesi sono immense: la reintroduzione del Patto di stabilità che comporterà tagli massiccio alle spese pubbliche, l’ascesa e il rafforzamento delle forze ultra-conservatrici e la militarizzazione del nostro continente richiedono una risposta coordinata, anche in vista delle elezioni europee di metà 2024. Se ritorneremo dal Sudafrica con un piano minimo coordinato tra le diverse forze politiche europee, potremo imboccato la strada giusta. Un elemento chiave dell’invito in Sudafrica è l’Assemblea Internazionale dei Popoli, una struttura che, tuttavia, non è famosissima, neanche nei settori progressisti. A che punto si trova la costruzione dell’Assemblea? Costruire un’articolazione politica a livello internazionale nel XXI secolo è tutt’altro che scontato. L’AIP si vede in continuità con la tradizione delle Internazionali nate con l’ascesa del movimento operaio, socialista e comunista mondiale, ma è anche consapevole che non si possono ripetere gli errori commessi in passato. Anche oggi dobbiamo comprendere creativamente come gli obiettivi comuni possono essere articolati secondo le condizioni e le tradizioni dei diversi Paesi e delle regioni - i “copia e incolla” e le “imitazioni” non funzionano. Se oggi quindi troviamo unità e accordo sul mettere al centro dell’agire dell’AIP l’antimperialismo, l’anticapitalismo e la solidarietà internazionale, le modalità e gli strumenti concreti delle campagne che ne seguono non possono essere identiche in tutte le regioni. La guerra in Ucraina ne è un buon esempio: Fino al giorno dell’invasione russa in Ucraina, in larghi strati di popolazione europea la NATO non aveva più nessuna legittimità di esistenza. Nel 2019 perfino il presidente francese Emanuel Macron l’aveva definito “obsoleto”. Ma lo scoppio della guerra purtroppo ha modificato il “senso comune” e costruire delle campagne contro la NATO e contro la guerra oggi richiede un’articolazione più sofisticata, legata alle preoccupazioni immediate delle classi popolari (lavoro, carovita, inflazione etc.). Le situazioni nel continente africano, dove le potenze NATO sono uno dei fattori principali dell’impedimento della sovranità nazionale, o in America Latina, dove la Dottrina Monroe da 200 ormai tenta di bloccare ogni avanzamento sociale, economico e politico, sono ovviamente ben diverse. La sfida maggiore per una rete come l’AIP è quindi quella di costruire unità internazionale nella diversità nazionale e regionale. Una riflessione finale: in tanti posti del pianeta si stanno consolidando opzioni reazionarie e negazioniste che arrivano perfino al governo, come Giorgia Meloni in Italia, o che hanno la possibilità di giocarsela come Javier Milei in Argentina. Come se lo spiega? Cosa sta mancando alle forze popolari per cui questi processi recessivi sono in grado di prendersi tutto questo protagonismo? Stai ponendo la questione cruciale della nostra epoca e ogni risposta, ovviamente, non può essere che parziale. Noi oggi stiamo nel bel mezzo di una crisi sistemica mondiale, della civilizzazione, con diverse caratteristiche: oltre ad essere una crisi economica e finanziaria, si tratta anche di una crisi sociale, politica e soprattutto culturale. La risposta neoliberista a questa crisi ormai è insufficiente, e dalla nostra parte, quella progressista, le prospettive alternative rimangono marginali. In questo vuoto che si è creato negli ultimi 15 anni si inseriscono quindi le forze ultra-conservatrici, reazionarie e in parte neo-fasciste con dei programmi politici che “attentano contro la vita stessa delle persone” come spesso dice il presidente colombiano Gustavo Petro. Questo avviene sia a livello degli Stati-nazione, con la corsa agli armamenti che è l’espressione più evidente di questa concezione politica, sia a livello delle persone stesse, con l’indebolimento dei legami di solidarietà e il ritiro alla vita privata. Questo ci dimostra che le nostre campagne politiche e sociali devono essere allo stesso tempo anche culturali. Nelle nostre pratiche quotidiane dobbiamo ritornare nei luoghi di vita e di lavoro della nostra classe di riferimento e dobbiamo costruire strutture di autorganizzazione per rispondere ai bisogni quotidiani delle persone. Le nostre Case del popolo in Italia per esempio hanno esattamente questo scopo: sportelli sociali per la casa e il lavoro, ambulatori popolari, attività sportive e ricreative, attività culturali, distribuzione alimentare per le famiglie povere rappresentano oggi i nostri strumenti per riconnetterci con il popolo sui territori. Alla lotta materiale per il miglioramento delle condizioni di vita delle persone dobbiamo quindi affiancare una battaglia delle idee in cui mettiamo al centro l’importanza di nuove relazioni e strutture sociali, promuovendo nuove relazioni umane e un messaggio di speranza. |